26 apr 2011

- Interrail #15 -


Capitolo Quindicesimo: 
Retiro




[Ascolto consigliato: Schism – Tool]

Madrid, Venerdì 15 Luglio 2005 ore 15.46.
Ventiquattro ore fa stavamo per atterrare a Barajas. Fra quattro ore partiremo per il Portogallo. Tre giorni fa ero l'unico dei miei amici a non essere ancora maturato. Tra tre giorni sarò ancora in Portogallo, forse. Quattro sere fa tutti i miei amici, o quasi stavano festeggiando. Phil forse non ne aveva molta voglia, conoscendo il suo voto. Ma la fine degli esami di Jeff, suo compagno di banco, rappresentava un evento a cui non poteva rimanere indifferente. Mike...beh per Mike ogni occasione è buona per festeggiare. E così quei tre passarono tutta la notte in giro. Mentre anche Paulie festeggiava, probabilmente con la sua ragazza. Mentre Alex, già partito per Roma, festeggiava nella capitale. Mentre Stone e i suoi compagni facevano il falò di quaderni e libri di scuola del liceo. Mentre Irons passava la notte insonne, con l'inquietudine tipica di chi ha l'orale il giorno dopo. Quattro notti fa nessuno dei miei amici ha dormito molto, a differenza di me che potevo godere del sonno incosciente di chi sa che non è domani, ma dopodomani. Però domani sarà un giorno di studio matto e disperatissimo. Perciò meglio non pensare e dormire. Effettivamente, da allora non mi ero più fermato un attimo. Fino ad ora, protetto dall'ombra di esili alberi in un punto non meglio precisato del parco, semi assopito come tutti i miei compagni di viaggio. Fa un caldo inumano. Ed è per questo che andremo verso il mare. Quattro notti fa era la notte prima della notte prima degli esami. Non so dove sarò fra quattro notti.

Nel frattempo erano probabilmente usciti i voti ufficiali della nostra classe. Noi, più o meno, già  sapevamo i nostri. Ma eravamo troppo stanchi per discuterne. Troppo lontani con la mente per informarci su quelli che non conoscevamo. Eravamo in viaggio. Decidemmo che era ora di muoversi, perciò ci addentrammo nel parco alla ricerca di… qualcosa. Non so bene cosa, un punto di ritrovo per giovani, delle ragazze, artisti di strada, un concerto rock, un campo da basket, qualsiasi cosa. Invece trovammo solo uno stagno brutto, tortuose stradine secondarie che ci facevano girare in tondo e poi vialoni assolati che ci fecero rimpiangere le stradine. Non c’era anima viva, non avevamo la minima idea di dove ci trovassimo e faceva un caldo terribile. Irons disse: “Ucciderei per una bottiglietta d’acqua” ed era un po’ il pensiero di tutti. Trovammo uno spiazzo che poteva forse essere indicato sull'approssimativa cartina della nostra guida e capimmo di essere dalla parte sbagliata. Dopo venti minuti buoni di cammino in cui non incontrammo anima viva apparvero, come un miraggio, un bar, dei tavolini e uno specchio d’acqua. Ci precipitammo, con le poche forze che rimanevano, a comprare dell’acqua, senza pensarci due volte. Ovviamente nel chiosco dieci metri più avanti la bottiglietta costava di meno. Per puro caso vicino a quel laghetto con tanto di servizio barca, c’era un’uscita che riportava alla zona del Prado. Mentre indugiavamo con le foto uno straniero si avvicinò. “Italiani, vero?” “Sì” “Aah Italiani! Pizza, spaghetti…” Noi continuammo “Sì… mafia, mandolino”. Poi lui, con gli occhi che si illuminavano: “Fumo! Fumo fumo fumo! Buono volete?”. Ma perché al concetto di “italiano” tutti associano automaticamente la parola “fumo”? Dopo aver rifiutato con il solito “No grazie, siamo sportivi” ci dirigemmo verso il nostro prossimo obiettivo: la stazione ferroviaria di Chamartin. Mike, consultando la piantina della metro disse: “La linea è chiusa per lavori nell’ultimo tratto, potremmo scendere un paio di fermate prima al Bernabeu” facendo sì con la testa  a cui io replicai, scuotendo la testa: “Sì, ma la più vicina è Plaza de Castilla e non ci resta molto tempo…”

21 apr 2011

- Interrail #14 -


Capitolo Quattordicesimo: 
La svolta



[Ascolto consigliato durante il pezzo: La strada – Modena City Ramblers]

Venerdì 15 Luglio 2005, molto prima dell'alba.
Il mio dolce e meritato riposo viene interrotto da un irritante beep che si ripete inesorabilmente. Apro gli occhi, buio pesto. Non è mai facile svegliarsi al mattino. Ancora meno se il giorno prima è stata una giornata lunga e intensa. Ancora meno se sai che quella che sta per venire non sarà una giornata meno lunga e meno intensa. Ancora meno se il tuo primo pensiero è “ma quell’idiota di Irons doveva proprio mettere su un casino del genere? Mica siamo solo noi in stanza!” Mentre il rumore continua incessantemente, io mi rigiro dentro al sacco a pelo cercando una posizione comoda per godermi al massimo quei pochi momenti di riposo rimasti. Sento dei rumori provenienti dal letto di sotto. Intanto la sveglia smette di suonare. “Ecco… Lo sapevo che le avremmo svegliate! Bravo Irons! Imbecille!”. Questo è il mio ultimo pensiero prima di riaddormentarmi di nuovo.

Un paio d'ore dopo... “Eddie sveglia! Andiamo a fare colazione”. La mia risposta è un verso assonnato che ha un che di inumano. Ancora intontito, mi guardo attorno. Nella stanza c’è parecchia luce e molti letti sono vuoti. Lo stupore mi fa svegliare quasi del tutto. “Ma… che ore sono?” “Sono le otto e mezza. Le ragazze avevano messo la sveglia prestissimo. La mia è appena suonata!” Mi risponde un attivissimo Irons. “Suonata?Non l’ho sentita”. “In realtà c’era la vibrazione. Ma comunque ero già sveglio da un pezzo. Alora… andiamo a fare colazione? E poi…iniziamo a conoscerle!”. Irons, proprio un bravo ragazzo!

Ore 8.43. A colazione elaboriamo un piano d’attacco. Che si fa oggi a Madrid? Museo del Prado? E stanotte? Dove si dorme? Ma stanotte saremo ancora nella capitale? E allora come ci muoviamo? Macchina o treno? L’unico che non ha dubbi e continua a parlare di nove inglesine è solo Irons. La questione del mezzo di trasporto era sicuramente la più importante. Ma è inutile andare tutti insieme alla stazione a chiedere informazioni (ricordo che nessuno sapeva esattamente cose fosse un biglietto interrail). Mike e Stone si offrono volontari.

Ore 9.09. Jeff va a riassettare la sua roba in camera, la solita fighetta (ma cosa aveva da sistemare dopo neanche un giorno?), io e Irons andiamo nella nostra e facciamo finalmente conoscenza delle ragazze. Nove ragazze per noi. Beh... in realtà sette. Le due che stavano ancora dormendo erano state scartate già prima di colazione. Dopo una prima rapidissima quanto precisa occhiata perdono subito la tipa che dormiva sotto di me per aver fatto suonare quell'irritante sveglia. Perché è decisamente la migliore. Quindi dimostro tutta la mia grande padronanza della lingua inglese con un Hi”, non per forza rivolto a lei, che stava seduta per terra a leggere una guida. Timidi, per non dire indifferenti, “Hi” in risposta. Quindi prendo un po’ di tempo facendo finta di sistemare qualcosa nello zaino dentro all’armadietto. Cosa ci volete fare… io ero quello che poteva leggersi la guida, parlare con le reception degli alberghi, ma sicuramente non il più adatto per interagire con le ragazze. Il frontman era Mike e questo lo sapevamo tutti, ma non si era particolarmente interessato alla faccenda. Stone e Jeff in caso di straniere erano tagliati fuori per problemi di comunicazione. Irons nonostante il suo quattro di inglese era in grado di trasformarsi davanti a ragazze straniere, ma in rispetto del mio otto si limitò a ripetere le mie mosse. Una biondina che strappava la sufficienza si dimostrò più disposta delle altre a fare quattro chiacchiere. Irons si buttò su quella. Io scambiai qualche battuta con alcune delle altre e appresi da quella che dormiva sotto di me che stavano per uscire e andare al Museo del Prado e mi feci indicare sulla loro cartina dove fosse. Poi in neanche cinque minuti loro uscirono. Arrivò Jeff, che si era già cambiato tre volte dall'inizio del viaggio. Uscimmo anche noi.

Ore 9,32. Le strade sono semi deserte. Noi passeggiamo senza meta per le vie, osservando la città che si sveglia, i negozi che aprono, i viaggiatori assonnati che riprendono il loro cammino dopo una notte passata a dormire nelle piazze. O almeno, questa è l’impressione che mi dà il giovane, a quanto pare mezzo italiano, che ci ferma. Appena ci rivolge la parola istintivamente tutti e tre guardiamo in alto per vedere se ci stanno buttando addosso del materiale lattiginoso (maledetta guida turistica!), invece voleva semplicemente venderci dell’hashish. Alla nostra solita risposta “Non fumiamo. Siamo sportivissimi!”lui dice “Beati voi!”, però si capisce che il suo pensiero è “Non vi fidate di me? Guardate che io ho roba buona… Peggio per voi!”. In quella mezz’oretta di vagabondaggio casuale io stavo abilmente cercando di portare gli ignari Jeff e Irons verso il negozio “Madrid Rock”, segnalato sulla guida, nella speranza di scoprire che i CD in Spagna non costano nulla o di trovare qualche bella maglietta di un gruppo rock (ne sparo uno a caso: Pearl Jam). Sta di fatto che quando arrivammo in Gran Via quello era chiuso, il sole iniziava a battere parecchio forte ed era già ora di tornare alla base per sapere i risultati della spedizione di Stone e Mike.

Ore 10.40. “C’è un treno per Porto che parte stasera, la menata è che domattina alle sette dobbiamo cambiare a Pourrinho.” “ Fa lo stesso. Ora d’arrivo?” “Undici del mattino”. “Perfetto. Ok, aggiudicato, lo prendiamo. C’è solo un problema: Irons non la prenderà troppo bene.” “Irons? Perché? Non dirmi che per quelle ragazze là… ma allora è proprio scemo.” “Beh... in effetti non credo che abbia troppe speranze, forse lo sa anche lui, ma si incazzerà lo stesso. Un’altra cosa: dov’è Pourrinho?” “Boh? Cerchiamolo sulla cartina…” Questa è stata la rapida quanto decisiva conversazione tra me e Mike. Avevamo circa venti minuti per sbaraccare tutto e andarcene via dall’ostello. Non è stato facile convincere Irons. Anzi, direi che lui mi ha riversato addosso una discreta pioggia di insulti e stavolta non aveva neanche troppo torto. Io e Mike avevamo deciso senza interpellare nessuno. In realtà senza interpellare lui perché Jeff non sa scegliere e Stone si adatta praticamente a tutto. Quindi saremmo stati comunque due contro uno.

Ma perché IO volevo andarmene? In fondo anch’io ci perdevo qualcosa in quella storia. Questo era quello che Irons non riusciva a capire. Eppure non ho esitato neanche un secondo. Perché? Per quanto stupido possa sembrare penso che sia per il fascino della vita “on the road”. Non sono mai andato molto oltre pagina 45 del libro di Kerouac (presto lo ricomincerò e dovrò anche finirlo: non si può raccontare un viaggio senza aver mai letto “On the road”), ma l’idea di poter essere padroni del proprio destino, l’idea che centinaia di persone sparse per decine di città aspettavano solo che noi le conoscessimo era molto più entusiasmante di una improbabile conquista in ostello. La storia del lanciare una monetina a caso su una cartina della Spagna e poi recarsi esattamente in quel posto, ovunque fosse, che eravamo soliti ripeterci io e Stone mesi prima si era profondamente inculcata dentro la mia testa. Impossibile cancellarla. Conoscere gente nuova, visitare posti, cambiare città, ricominciare tutto da capo era il massimo che potessi desiderare da quel viaggio. Inoltre, la facilità con cui ci eravamo trovati a che fare con un gruppone di ragazze poteva comunque considerarsi un ottimo inizio.

La prima vera svolta. Non più una casuale e apparentemente insignificante scelta del tipo “ma entriamo in questo albergo o in quello là?”. Per una volta il potere di decidere il futuro (immediato) era in mano nostra (mia). Per la prima volta mi apprestavo a riempire con la mia pessima calligrafia le bianche pagine di quel libro che rappresentava il nostro viaggio.

Ore 10.59. “Dai che nel prossimo ostello ci troveremo in camera con delle altre!” Questo era l'unico argomento che potevo usare contro le sue lamentele. Perciò sdrammatizzammo la situazione facendo la prima foto del viaggio. Lui semi sdraiato sul letto della sua biondina con un romanzo rosa inglese (sicuramente appartenente a lei) in mano. “Se le piace quella roba forse non è il tuo tipo...” “Potresti aver ragione, Eddie, ma mica me la dovevo sposare…” “Bella foto che è venuta… sembra che tu stia facendo tutt'altro...”“Fa vedere…Oh no! AH AH AH! Non ci credo!”. Irons, un bravo ragazzo!

20 apr 2011

- I dolori del giovane Werther -



1° luglio
[…] Ora niente mi dà tanta noia come quando gli uomini si tormentano fra loro, specie poi quando sono giovani nel fiore della vita, che dovrebbero essere apertissimi a tutte le gioie, e invece si sciupano quei brevi giorni per sciocchezze e poi troppo tardi s’avvedono dell’irreparabile sperpero.
Questo pensiero mi rodeva, e quando poi tornammo verso sera al presbiterio e seduti a una tavola cenavamo con pane e latte e il discorso volse al tema della felicità e del dolore nel mondo, io non potei fare a meno di afferrare quel filo e di esprimermi molto energicamente contro il malumore.
“Noi uomini ci lamentiamo spesso” così cominciai “che le giornate buone siano poche e le cattive tante; ma in generale io credo che abbiamo torto. Se avessimo un cuore aperto e disposto a godere il bene che Dio per ogni giornata ci dà, allora avremmo anche forza abbastanza per sopportare il male quando viene.”
“Ma i nostri sentimenti” osservò la moglie del pastore “non sono sempre il poter nostro. Tanto dipende dal corpo! Se uno non sta bene in salute, non c’è nulla che gli garbi.”
Io questo gliel’ammisi.
“Allora” proseguii “vogliamo considerare il cattivo umore come una malattia, e cercare se c’è un rimedio?”
“Questo mi piace” disse Carlotta “Io almeno credo che molto dipenda da noi. Lo so per prova. Se c’è qualche cosa che m’infastidisce e minaccia di dami cruccio m’alzo alla lesta e mi metto a camminare su e già pel giardino canticchiando un paio di contraddanze, ed è bell’e finita.”
“E’ proprio quello che volevo dir io” soggiunsi “Avviene del cattivo umore esattamente come della pigrizia; perché in fin dei conti il cattivo umore si riduce a una specie di pigrizia. La nostra natura vi è molto incline, eppure, se abbiamo una volta la forza di farci un cuor risoluto, il lavoro viene di lena, e nell’attività troviamo un vero godimento.”
[…] “Si predica contro tanti vizi” gli dissi “Ma non ho mai sentito che dal pulpito si muova guerra al cattivo umore.”
[...] “Lei ha detto che il cattivo umore è un vizio. Mi pare esagerato.”
“Niente affatto” risposi “se quello che nuoce a noi stessi e al prossimo merita il nome di vizio. Non è già abbastanza che ci manchi il potere di renderci a vicenda felici? e dobbiamo per giunta rubarci l’uno all’altro quel tanto di piacere che ogni cuore qualche volta può procurare a se stesso? Lei mi nomini uno che sia dic cattivo umore e in pari tempo sia tanto bravo da dissimularlo, da tenersi per sé la tetraggine senza sciupare tutt’intorno la gioia degli altri. O forse in fin dei conti il malumore non è altro che un’intima insoddisfazione della nostra propria infelicità, un malcontento di noi stessi, il quale è poi sempre collegato a un sentimento d’invidia, e questo alla sua volta è aizzato da una sciocca vanità? Vediamo persone felici che non debbono a noi la loro felicità; e questo è intollerabile.”
(Goethe)

19 apr 2011

- L'orologio fa Tic Tac -

(Dr. Hu, Yunnan 2008, Mattia)


In un libro – che abbiamo già citato tra i primi “frammenti” – viene trattato in maniera esemplare (e anche un po’ angosciosa) il tema della ricchezza del tempo e dell’importanza di non farlo trascorrere senza che nulla accada. Spero possiate apprezzare l’invito ad agire e a vivere che ci viene offerto da Dino Buzzati ne “Il deserto dei tartari”. Non aspettiamo che qualcosa accada… facciamolo accadere!


“Ventidue mesi erano passati senza portare niente di nuovo e lui era rimasto fermo ad ASPETTARE, come se la vita dovesse avere per lui una speciale indulgenza. Eppure ventidue mesi sono lunghi e possono succedere molte cose: c’è tempo perché si formino nuove famiglie, nascano bambini e incomincino a parlare, perché una grande casa sorga dove prima c’era soltanto prato, perché una bella donna invecchi e nessuno più la desideri, perché una malattia, anche delle più lunghe, si prepari (e intanto l’uomo continua a vivere spensierato), consumi lentamente il corpo, si ritiri per brevi parvenze di guarigione, riprenda più dal fondo, succhiando le ultime speranze, rimane ancora tempo perché il morto sia sepolto e dimenticato, perché il figlio sia di nuovo capace di ridere e alla sera conduca le ragazze nei viali, inconsapevole, lungo le cancellate del cimitero.


***
Quattro anni erano passati da allora, una rispettabile frazione di vita, e niente, assolutamente NIENTE ERA SUCCESSO [che potesse giustificare tante speranze]


***
Gli antichi amici di Drogo, sulla soglia della casa che si sono costruita, amano adesso soffermarsi a osservare, paghi della propria carriera, come corra il fiume della vita e nel turbine della moltitudine si divertono a distinguere i propri figli, incitandoli a fare presto, sopravanzare gli altri, arrivare per primi. Giovanni Drogo invece ASPETTA ancora, sebbene la speranza si affievolisca ad ogni minuto.


***
Lassù era passata la sua esistenza segregata dal mondo, per ASPETTARE il nemico egli si era tormentato più di trent’anni […]”

14 apr 2011

- The Future of Product Design in a Connected World -




Se qualcuno non se ne fosse accorto, a Milano e' la settimana del Salone del Mobile.


Nello tsunami di eventi che travolgono la citta' in questi giorni, in pieno stile italiano (leggi: in evidente conflitto di interessi), ve ne segnalo uno che si terra nel nostro studio Venerdi' 15 Aprile. 



The Future of Product Design in a Connected World
Venerdi' 15 Aprile 2011 - 17.30-20.00 
frog design - via Alserio 22 - Milano
(se possibile confermare la partecipazione ad andrea.bebber@frogdesign.com )

Agenda: 
17.30 Benvenuto
18.00 Presentazione di Max Burton e Holger Hampf
19:30 Aperitivo

Partecipate numerosi!!!

13 apr 2011

- Interrail #13 -


Capitolo Tredicesimo: 
Nove ragazze per Irons



Ce l’hanno con me. Me l’hanno fatto apposta. C’erano nove (dico NOVE) ragazze che aspettavano solo noi e se le sono fatte scappare. E’ tutta colpa loro. Ma come si può essere così? Perché? Perché hanno deciso di andare via? Forse è stato Mike, per farmi un dispetto. D’altronde lui era tagliato fuori dai giochi. Era una cosa per Eddie e me. Solo noi due avevamo avuto la fortuna di capitare in stanza con loro. Non riuscirò mai a capire Eddie. Tanto bravo a scuola eppure... eppure so che anche lui non dice di no davanti a una bella ragazza… Insomma erano lì su un piatto d’argento e proprio lui ha deciso di cambiare città. Non cambiare albergo, che già sarebbe stato stupidissimo... ma addirittura CAMBIARE CITTA'! Cazzo!

Avete ragione: forse non sono troppo chiaro. Alora… partiamo dall’inizio, cercherò di essere lucido e insulterò la sfortuna e i miei compagni di viaggio solo dentro di me. Alla reception ci dissero che dovevamo dividerci in due stanze “Per me non è un problema, l’importante è sistemarsi dopo un viaggio così lungo”dissi. D’altronde è dura trovare una camera per cinque. Per me ok andare nella camera a due, bastava solo non essere con Mike (e penso che il sentimento sia reciproco). Mentre salivamo le scale Stone azzardò che, essendo in ostello, probabilmente le sistemazioni sarebbero state in camerate da una decina di letti e senza bagno, non una doppia e una tripla. “Cavolo, dormire con degli sconosciuti sicuramente non è un problema” pensai “a volte può essere sgradevole, ma può essere anche mooolto piacevole… Se però non c’è il bagno... non mi esalta molto l’idea di dover uscire dalla stanza di notte e andare in un bagno che per la legge di Murphy sarà dall’altra parte del piano”. Eddie non riusciva ad aprire quella porta, l’attesa si faceva sempre più snervante, dovevo sapere. Cavolo, doveva esserci il bagno! Mentre Eddie continuava a litigare con la serratura vedo che Jeff esce dalla sua camera. I miei occhi lo squadrano sospettando la verità…”Dove vai?” “In bagno!”.

Il mio disappunto interiore viene interrotto dalla voce di Eddie che urla “Ce l’ho fatta!” e si tramuta in… un'esclamazione di gioia! Mi basta una sola occhiata per capire che quei vestiti sul letto possono appartenere solo a una donna (o un transessuale…brrr… rabbrividisco al solo pensiero!) . Altre rapide occhiate confermano ulteriormente la mia gioia… siamo finiti in una stanza piena di ragazze! “Straniere, probabilmente”, come mi fa notare Eddie indicando un libro in inglese su uno dei letti. Yeeeeeeeeah! Chi se ne frega del cesso! E’ la mia occasione, me lo sento!

“Non c’è tempo per inseguire delle inglesine che non sono neanche in camera, dobbiamo  prepararci e andare all’appuntamento con Felix” disse Eddie. Una notte nella movida di Madrid ci aspettava. Prima ci si ubriaca, poi si rimorchia in discoteca e infine si rimorchia anche in ostello. Questa vacanza non poteva iniziare meglio! Ho passato tutta la serata a ripassare le frasi d’approccio in inglese e a fantasticare su cosa ci avrebbe aspettato al ritorno in camera. Una serata in cui non si è rimorchiato, ma tutto sommato abbastanza divertente lo stesso (Hola Paquito!).

Al nostro ritorno in camera loro stanno già dormendo. Non ci sembra il caso di svegliarle ed è troppo buio per mettersi a guardarle perciò cerchiamo di andare silenziosamente a dormire. La mattina appena svegli inizia il corteggiamento: dopo un rapido ma sapiente sguardo ho già individuato la mia preda, che guarda caso dorme nel letto accanto al mio. Non quella figa che dorme sotto il letto di Eddie (sicuramente troppo difficile), ma una biondina carina che sembra dimostrarsi amichevole nei nostri confronti. Tra le altre ragazze alcune sono probabilmente contrariate dalla nostra presenza (i due cessi, chi se ne frega) altre ci ignorano (tra cui, purtroppo, quella figa). Non sembra andare male, insomma, lei parla. Nonostante il mio due fisso di inglese non me la cavo poi tanto male con la lingua. Quando ci sono di mezzo delle ragazze nordiche sono disposto a tutto. Loro escono per fare colazione, noi per fare due passi in centro, ma come primo approccio non sembra sia andato male, anche Eddie (che essendo un genio a scuola non ha problemi con l’inglese) ha scambiato due parole con le ragazze (addirittura con la figa! Bravo Eddie!). Insomma oggi pomeriggio si continua con l’approccio e poi stasera… stasera…
Le parole di Eddie mi giungono all’orecchio come una mazzata. “Ho parlato con gli altri, stasera siamo in Portogallo”. “Cooosa? Ma stai scherzando? E le ragazze?” “Quali rag… ah! Non mi dirai che ci speravi… ci hanno cagato a malapena!” “Ma… io… la biondina… non puoi farmi questo”. “Dai…comunque non avevamo speranze… ne troveremo molte altre. Qua fa un caldo allucinante e poi non sei ansioso di metterti in viaggio?” “No! Non se qua ci sono delle inglesine. Non si può cambiare idea?” “Ormai è deciso, alle undici, cioè tra venti minuti, bisogna fare il check-out, magari lasciamo gli zaini in reception, poi li recuperiamo prima di prendere il treno!”. Capendo di avere perso, il mio sconforto si tramutò così in rabbia “No eh? Me lo fate apposta…possibile che abbiate deciso senza di me? Va bene, suppongo di non avere scelta. Ma comincia male questo viaggio! Che sia la prima e l’ultima volta che abbiamo un gruppo di NOVE ragazze pronte per noi e decidiamo di andarcene… Manco fossimo tutti gay!” Come puoi avermi fatto questo Eddie?

(Irons)

Se qualcosa può andar male, lo farà. 

11 apr 2011

- I pm come leoni senza denti -


Il maresciallo non busserà più alla porta del pm. La «riforma epocale» della giustizia avrà come effetto pratico proprio questo. Finora l’autorità giudiziaria disponeva «direttamente» della polizia giudiziaria. Il nuovo articolo 109 della Costituzione che l’ attuale maggioranza vorrebbe approvare dice invece che i magistrati «dispongono della polizia giudiziaria secondo le modalità stabilite dalla legge». Ciò significa che con una semplice leggina si potrà deliberare che il maresciallo farà le indagini per conto suo, che non sarà più tenuto a rispondere alle deleghe di indagine del pm, che presenterà al pm un piatto pronto, prendere o lasciare.

Chi non conosce i meccanismi del procedimento penale si chiederà per quale motivo viene modificata in questa maniera la Costituzione. Sicuramente ci sarà qualcuno che in qualche salotto televisivo, fra un urlo e l’altro, dirà che i pubblici ministeri hanno esagerato disponendo della polizia giudiziaria «direttamente». Basta con questo strapotere!

I pubblici ministeri hanno esagerato, ma in cosa? Hanno esagerato nel fare le indagini? Ne hanno fatto troppe? O magari fra le migliaia di indagini preliminari che ogni pm fa nella sua carriera, ogni tanto, qua e là, ce n’è qualcuna particolarmente sgradita?

Quello delle indagini è un lavoro di organizzazione. Ogni pm tratta in media all’anno circa duemila notizie di reato. Su tutte queste si fanno le indagini; per molte si accerta che sono da archiviare e per le altre si va a giudizio. Un lavoro enorme: per questo il pm ha dei poteri di coordinamento che gli consentono di utilizzare qualunque forza di polizia presente sul territorio italiano.

Naturalmente c’è indagine e indagine: quelle per i reati più gravi sono accompagnate da frequenti riunioni e contatti con le forze di polizia. Fra il pm e la polizia giudiziaria c’è un continuo scambio di informazioni, di pareri sulle strategie di indagine. Uno scambio di esperienze, di professionalità, di umanità.

Così il Maresciallo bussa continuamente alla porta del pm o lo chiama spesso al telefono per
avere un confronto e un conforto, per sentire le sue direttive. Il Maresciallo sa che avere il
coordinamento del pm autonomo e indipendente è una garanzia non solo per il buon esito delle
indagini ma anche per lui, sa cioè che nel caso si trovasse a sollevare il coperchio di qualche
pentola puzzolente nessuno potrà bloccarlo perché c’è il pm.

Con la «riforma epocale» della giustizia tutto cambierà: il pm vedrà le indagini a cose fatte, soprattutto vedrà le indagini che altri e non lui decideranno di svolgere. Potrà forse ancora fare indagini in proprio, ma dovrà farle da solo oppure mettersi in coda. Il maresciallo non busserà più alla porta, se non per portare un bel pacchetto di indagine pronto. Il pm guarderà quel pacchetto con diffidenza perché non è roba fatta da lui.

Magari gli verrà in mente di chiedere al maresciallo se sa come mai non è ancora arrivato niente che riguardi quel signore che è da qualche giorno incatenato alla cancellata del tribunale, con al collo la scritta «vittima di usura». Il Maresciallo lo guarderà imbarazzato e con un po’ di vergogna, cercherà di spiegargli che ultimamente si stanno occupando del grave problema della vendita di cd contraffatti sui nostri litorali - «sa, fra un po’ inizia l’e state» - e che insomma in fin dei conti non dipende da lui ma dal suo comandante. Sarà più solo il pm e sarà più solo il maresciallo, che dovrà obbedire alle sue gerarchie.

Il pm ora dispone «direttamente» della polizia giudiziaria per fare le indagini e per verificare che siano fatte nel pieno rispetto dei diritti di tutti, compresi quelli degli indagati, per assicurare a tutta la cittadinanza che nessuna indagine verrà bloccata da altri poteri dello Stato e che si lavorerà per ogni reato denunciato. Un pm senza polizia giudiziaria è un leone senza denti, una pistola caricata ad acqua.

(Gianni Caria, Magistrato)

8 apr 2011

- Social Intruders -




Francesca e Stefano (N.d.A. i nostri beneamati bloggers) si sono laureati l'altro ieri. Auguri.

Voglio parlare di loro.

I nostri sono di quei ragazzi che danno soddisfazione ai genitori. Sono una élite di merito, hanno scalato agevolmente i gradini scolastici prima, ed accademici dopo, e si ritrovano ad avere 25 anni ed un titolo di laurea in tasca. E non parliamo di una laurea qualsiasi. Trattasi di una laurea in economia (perdonatemi, non ricordo, anzi, non conosco proprio, le sigle dei vari corsi) con voti eccellenti in Bocconi. Ovvero, l'unica università italiana con una solida reputazione internazionale. Il risultato dell'utilizzo dei suddetti filtri rende l'idea di un percorso da parte di entrambi notevolmente superiore a quello della media dei loro coetanei. Se hai due euri in tasca, puntali su di loro.

Francesca e Stefano sono tra le persone più preoccupate che io conosca per il loro futuro.

Sanno che li attende un collo di bottiglia professionale dove i migliori sono inquadrati in imprese multinazionali in cui saranno un ingranaggio di (i) un sistema proceduralizzato sin dalla richiesta di carta igienica, che annullerà gran parte della loro spinta creativa; (ii) una piramide rovesciata di senior cresciuti rapidamente nell'età dell'oro, e improvvisamente inabili a procurare lavoro ai junior, perchè loro stessi mancanti; (iii) uno schema retributivo umiliante associato a una percezione sociale da yuppies anni '80, che li porterà a ritenere doveroso potersi (doversi) nutrire di insalate macrobiotiche da 15 Euro a pranzo, e soprattutto raccontarlo; (iv) orari lavorativi massacranti, che alienerà loro la maggior parte della comprensione (prima) e tolleranza (dopo) di amici e parenti.

Il coté grottesco è dato dalla circostanza che quanto descritto è il traguardo agognato, non temuto, dalla media dei ragazzi nella posizione di Francesca e Stefano. A questo punto è facile comprendere come i migliori, le risorse più importanti per lo sviluppo della nostra società, siano attivamente impiegati per la sua irreversibile decadenza.

Francesca e Stefano hanno la lucidità per apprezzare il pericolo che corrono, hanno la sensibilità per nuotare all'interno di questo sistema e uscirne con l'affermazione di propri spazi vitali e creativi. La loro intelligenza, purtroppo, non è stata donata a molti. E' con quei molti che saremo tutti, nostro malgrado, costretti a confrontarci in un prossimo futuro.


(Megas)

7 apr 2011

- Due anni dopo -


Due anni dopo... per non dimenticare... L'Aquila torna a volare!

Ricordo quel 6 Aprile di due anni fa come se fosse ora. Ero reduce da una settimana a letto con l'influenza quando, nel pieno del sonno,(alle famose 3:32) fui svegliato da quel tragico terremoto. Un frastuono incredibile. 
Un tumulto infernale che duro' 19 secondi, ma che sembro' davvero infinito. 
Dentro di me una sensazione stranissima, e la volonta' di abbandonare immediatamente il quinto piano di quel palazzo. Scesi in strada di corsa e trovai una folla impaurita e ancora frastornata. 
Le voci rimbalzavano come palline da ping pong impazzite, e le prime notizie si rincorrevano confusamente. 
Andai a farmi un giro in macchina per allentare le tensione del momento, e trovai le strade della citta' trafficatissime, manco fosse l'ora di punta. Pensai subito ai miei amici che studiavano all'Aquila (io abito a 70 km di distanza) e provai a contattarli telefonicamente, ma le linee erano in tilt. 
Quella notte dormii (si fa per dire) in auto, nel parcheggio del palazzetto dello sport che era pieno di macchine come quando il Teramo basket giocava in casa. 
Il mattino seguente riuscii finalmente a sentire i miei amici, ma venni a sapere anche che il bilancio delle vittime stava inesorabilmente aumentando. In citta' intanto, si respirava un'aria pesante; serpeggiava una specie di psicosi collettiva, e ogni scossa di assestamento rimbombava come l'onda lunga di quel terribile giorno. Ricordo che fui costretto ad emigrare per qualche giorno a Roma a casa di amici, per scacciare i fantasmi e le angosce che albergavano in me in quel periodo. 
Tutto il resto, lo sapete, e' storia recente. Pero' mi e' capitato di tornare all'Aquila qualche settimana fa, e devo dire che ho assistito ad uno scenario davvero deprimente. Il centro storico praticamente chiuso e presidiato dai militari, che manco la Gestapo ai tempi del nazismo, vita universitaria ormai smarrita e attivita' commerciali che stentano a rinascere. E poi c'e' il problema delle case. Ma non voglio addentrarmi in discorsi politici; finirei per scadere nel populismo piu' bieco e banale. 
Vorrei anzi congedarmi con una citazione e con un auspicio "Forte non e' chi non cade, ma chi cadendo ha la forza di rialzarsi" (Goethe). 

L'Aquila torna a volare!


6 apr 2011

- Finisce un'era #3 -



"Io amo gli uomini che cadono, se non altro perché sono quelli che attraversano".
Friedrich Nietzsche
Nell'esatto momento in cui prende forma la struttura finale di questo lavoro, sorge fredda e rassegnante la consapevolezza che l'ultima parola scritta rappresenti la fine di un periodo intenso, di sogni realizzati e sconfitte edificanti. E allora, non rimane che il ricordo di un piacere oppure il lusso di un rimpianto. Rimpiangere vorrebbe dire accogliere l'algido abbraccio della rassegnazione e divenire un apostata senza speranza. Per questo motivo, guardando indietro, rivendico l'immensità degli attimi vissuti e mi rivolgo a tutti coloro che in qualche modo, talvolta inconsciamente, si sono resi parte del viaggio indimenticabile di questi 5 anni.
A zio Francesco, cuccucco, per la sua capacità di affrontare il tempo con l'arma del pensiero.
A papà, che per primo, in me, ha fatto nascere la curiosità verso il mondo, permettendomi di non essere un semplice spettatore.
Alla mamma che ha messo da parte l'amore bramoso per concedermi, fiera, l'indipendenza.
A Francesca, bankina, che ha accompagnato il mio cammino con partecipazione e sincera soddisfazione.
A Paolo, che anziché cugino è un fratello maggiore.
A Nino, Grazia, Francesco e Marta, che fanno parte della mia famiglia.
A Francesca, che mi ha mostrato, per la prima volta, l'eleganza di un'emozione.
A Lorenzo e Cristiana, che da qualche parte, e forse qualche volta, volgono lo sguardo verso di me.
Ad Antonella e Marco, che nonostante tutto mi rivolgono un sorriso.
A Pippo e Mattia, amici veri tra un'infinità di conoscenze.
Ad Orietto, perché mi ha insegnato che la cultura richiede un viaggio che duri almeno una vita intera.
Al Prof. Franco Amatori, per gli insegnamenti, la disponibilità e l'originale stravaganza.
Ad Hong Kong, che mi ha permesso di affrontare la solitudine.
A tutti i  luoghi del mondo in cui sono stato in questi anni universitari, perché mi hanno presentato la bellezza della diversità.
Grazie.

- Finisce un'era #2 -


Con questo lavoro si conclude un capitolo della mia vita. Un capitolo lungo un lustro. In queste poche righe vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato e incitato nel lungo cammino che mi ha condotto fin qui.

Innanzi tutto grazie al professore Zattoni per la pazienza e la fiducia dimostratami in questi mesi e per avermi dato l’opportunità di portare avanti questo lavoro.

Ringrazio i miei genitori per tutti i sacrifici che hanno fatto per me. Mamma e papà vi ringrazio perché nella vostra vita vi siete sempre privati di tante cose per non farmi mai mancare la possibilità di scegliere. Grazie per i valori che mi avete insegnato e di cui farò sempre tesoro. Grazie perché se sono quello che sono, è soltanto merito vostro. Grazie per avermi protetto e aiutato a rialzarmi quando la vita mi ha sbattuto al tappeto. Grazie per avermi aperto le ali quando ho voluto inseguire i miei sogni. Grazie perché sono orgoglioso di essere vostro figlio.

Ringrazio mio fratello Nicolò, da cui ho ancora tanto da imparare. Grazie perché mi hai insegnato che al mondo non esiste un’unica strada giusta da percorrere e che la diversità non è sinonimo di incapacità. Grazie perché sono fiero di essere tuo fratello.

Grazie a mia nonna Teresa che mi ha sempre trattato come un figlio e che non mi ha mai fatto mancare nulla. Grazie perché mi hai sorriso anche quando non lo meritavo.

Grazie a miei migliori amici Pisto, Alby, Torts e Ale, perché se penso alla vera Amicizia penso a voi quattro e a tutti i momenti passati insieme. Grazie a Marta, troppo importante nella mia vita per non essere almeno citata. Grazie a Sara, che ha sempre avuto per me una parola di conforto, un consiglio pronto o una spalla su cui piangere. Grazie a Mattia e al Barone per quello che stiamo lentamente costruendo. Grazie a Francesca e Deby che mi hanno aiutato a diventare una persona migliore. Grazie a Andy per quello che siamo riusciti a fare in questo biennio.

Grazie a tutti gli altri amici che non riesco a menzionare: alla mia ex squadra di basket, al gentil sesso di via Lusardi, ai miei compagni di avventura dell’Exchange Program, al mio vecchio gruppo di Mktg, alla compagnia di Moggio, ai bocconiani del CLEACC, ai bloggers della Kritica e al Living Room.

Ringrazio a tutti voi.
Sappiate che non dimenticherò mai quello che avete fatto per me.

(Pippo)

4 apr 2011

- Interrail #12 -


Capitolo Dodicesimo: 
Odio le discoteche




“Il chitarrista sembra bravo, sto assolo non è mica male” disse Irons, il metallaro.
“Ma dai!Ha dei baffi che sembra un messicano! Secondo me invece la cantante non è mica male... e non intendo a cantare...” la risposta di Mike, tanto per cambiare non era d'accordo.
“HOLA PAQUITO!” disse Jeff, il simpatico, a cui fece eco prima la cantante e poi tutta la sala.

Nel mondo ideale e fantastico creato dalla redazione del nostro giornalino scolastico ogni pezzo doveva avere un suo contrario. Ovviamente questo non succedeva sempre. Anzi quasi mai. Ed era allora che chiamavamo in causa George Orwell e la frase “Tanto è come nel Bipensiero. Si può fare tutto e il contrario di tutto.” Irons scrisse sul quarto numero un pezzo pro metal e, per puro caso, in quel numero c'era anche un pezzo anti metal. La disputa è abbastanza vecchia e scontata. Da un lato è una lotta a smentire lo stereotipo “metal=rumore”, citando musicisti tecnicamente eccelsi,gruppi armonici, grande cura nei particolari e pezzi di storia della musica. Dall'altro si alimenta lo stereotipo “metallaro=persona rozza e tamarra” descrivendo modi di vestire, abitudini e rituali tipici. Si tratta di argomenti che appartengono a due dimensioni completamente diverse. Si tratta di generalizzazioni per cui si potrà sempre trovare un'eccezione. Il punto è che l'Oceania è in guerra con l'Eurasia e alleata dell'Estasia e lo è sempre stata. E' scritto così su tutti i libri, manifesti, documenti e poco importa se solo quattro anni fa era il contrario.

Sull'argomento della tecnica io sto dalla parte di Irons. Il chitarrista di flamenco sembrava bravo quindi mi piaceva quello che ascoltavo. Però non sono un metallaro. Sono convinto che ,entro certi limiti, i nostri gusti musicali siano decisi da noi. Ogni canzone in commercio è tendenzialmente orecchiabile o ben strutturata, frutto di un lavoro molto superiore a 3, 4 o 5 minuti. E quindi degna di essere ascoltata. Ma noi decidiamo che ci piace un solo tipo di genere. Lo ascoltiamo e riascoltiamo finchè non ci piace veramente. Irons ha deciso che il suo genere è il metal, io ho deciso che il mio genere è il rock. A tratti i due generi combaciano, ma non sempre. E la differenza tra me e lui sta tutta qua. L'altra differenza è che io odio le discoteche e lui no.

Ho 19 anni, sono maturato ieri e odio le discoteche. Odio le discoteche perchè non è il mio genere. Odio le discotehce perchè non ci ho mai concluso nulla. Odio le discoteche perchè sono un giocatore di basket e ho movimenti molto poco aggraziati. Odio le discoteche perchè non sono un giocatore di calcio e mi manca l'approccio sfrontato “Come ti chiami? Chiara? Che bel nome! Mia sorella si chiama Chiara! Posso darti un bacio?”. Odio le discoteche perchè non sono ancora andato in vacanza a Ibiza, dove avrei ascoltato, riascoltato e ballato tanta di quella musica elettronica fino ad imparare ad apprezzarla. Odio le discoteche perchè non sono ancora stato in Erasmus dove ti fai meno problemi su dove sei e che musica c'è, perchè ti diverti ovunque. Odio le discoteche perchè c'è troppa gente e non si può parlare.

Così passai il resto della mia tapas night a non ballare e a perdermi in quel locale stile neoclassico con parecchie stanze e corridoi fino ad impararne a memoria la planimetria. Ma allora era il tempo di bere la consumazione. E poi era il tempo di perdersi di nuovo, con tutta quella gente era quasi impossibile muoversi. Perdendomi vidi Mike che prendeva per mano questa o quella ragazza e iniziava a ballare col suo passo latino americano. Vidi Irons un po' in disparte a riflettere sul fatto che eravamo troppo piccoli per sperare di concludere qualcosa quella sera. Vidi Jeff e Stone ridere e prendere in giro un po' chiunque, specialmente Mike e Irons. Vidi Felix sempre circondato da ragazze. Merito suo se, vestiti male come possono essere cinque ragazzi in interrail, eravamo entrati, saltando pure la coda come fossimo VIP. Fu l'ultima volta che vidi Felix.

Poi ci ritrovammo tutti e cinque sui divanetti di fronte al bar, troppo stanchi per prendere anche solo un altro colpo. E capimmo che come primo giorno poteva bastare.

(Roberto)

1 apr 2011

- Il PM con il cappello in mano -


La riforma epocale è finalmente arrivata, fra squilli di tromba, caute aperture e manifestazioni di indignazione. Verrà profondamente modificata la Costituzione e, si dice, finalmente avremo una giustizia che funziona. Si dice anche, lo dice il nostro premier, che con questa riforma i Pubblici Ministeri busseranno alla porta del Giudice con il cappello in mano.
Chi non è un tecnico del diritto si chiede come finora avvenivano gli incontri istituzionali fra P.M. e Giudice (che faceva il P.M.? Entrava senza bussare? Si stravaccava sulla poltrona mettendo i piedi sul tavolo? Raccontava al Giudice barzellette sconce?). Chi invece di mestiere interpreta le leggi e cerca di coglierne le conseguenze ha il compito di leggere la proposta con attenzione e senza pregiudizi.

Attualmente tutta la magistratura (giudici e pubblici ministeri) costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Non c’è separazione delle due carriere, ma divieti di passaggio da una funzione all’altra nell’ambito dello stesso distretto di Corte d’Appello.
Con la riforma le due carriere saranno separate. Due concorsi, due CSM. Se ci si fermasse a questo punto, se ne potrebbe discutere: la separazione (che non condivido) porta vantaggi e svantaggi, ma siamo ancora in un ambito accettabile.

Ma con la riforma non tutta la magistratura, ma solo i giudici “costituiscono un ordine autonomo e indipendente da ogni potere e sono soggetti soltanto alla legge”. Per il nuovo art. 104 Cost. invece l’ufficio del pubblico ministero è organizzato secondo le norme dell’ordinamento giudiziario che ne assicurano l’autonomia e l’indipendenza”.
Ecco la differenza: i pubblici ministeri non saranno come ora “soggetti soltanto alla legge” ma sarà il Parlamento che con legge ordinaria riempirà di contenuto quel residuato di autonomia e
indipendenza che rimane loro. Ergo, i pubblici ministeri saranno soggetti sia alla legge che ad altro.

Altra modifica: ora “il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”, cioè di procedere per ogni reato senza distinzione. Con la riforma, l’obbligo si eserciterà “secondo i criteri stabiliti dalla legge”.
Che accadrà? Il Parlamento potrà approvare norme che costringeranno il P.M. a procedere solo per alcuni reati e non per altri (immaginiamo, naturalmente per pura ipotesi, una maggioranza con un orientamento vagamente xenofobo che impone di occuparsi solo di reati commessi da stranieri) oppure che lo obbligheranno a informare il Ministro di ogni iniziativa penale presa. Il Ministro potrà interloquire sulle indagini, dire al P.M. di lasciare perdere un’inchiesta e di occuparsi di altro o contestargli che fare una certa indagine costa troppo.
Pensate a un Ministro che sa che un’indagine tocca un suo collega di partito: la farà continuare,
dicendo bravo al P.M., o gli dirà che non è il caso?

Ecco allora il P.M., solo nella sua stanza e seppellito, come sempre, da fascicoli, che sente bussare alla porta: è un imprenditore che viene a denunciare che un pubblico amministratore pretende una tangente. Ora non gli si dice nulla: lui sa che indagheremo, senza guardare in faccia a nessuno. In futuro gli diremo “forse”, forse potrà avere giustizia: se il Parlamento quell’anno ha messo il reato di concussione fra le priorità, se il Ministro non pretenderà di essere informato, vanificando indagini a sorpresa, se non verranno inserite norme in base alle quali la Polizia Giudiziaria potrà infischiarsene delle direttive di indagine del P.M..
Diremo “forse” alle vittime di concussione, di usura, di violenza di ogni tipo, di disastri ambientali.

Lo diremo soprattutto alle vittime deboli, che non hanno i mezzi per muovere l’opinione pubblica o per attivare qualche lobby parlamentare. Ci vergogneremo di non assicurare giustizia, e allora ci verrà un pensiero: “forse” chiedendo al Procuratore della Repubblica di telefonare al Procuratore Generale della Corte d’Appello perché telefoni al Procuratore Generale della Cassazione perché telefoni al Sottosegretario perché lo chieda al Ministro, “forse” potremo eccezionalmente fare un’indagine che non rientra fra le priorità.
Ecco. Ecco il P.M. con il cappello in mano. Ma non per andare dal Giudice, ma per chiedere ad altri poteri se per caso, solo per questa volta, se non disturbo, si possa fare un’eccezione e procedere con determinazione perché c’è una persona che vuole giustizia.

E allora mi chiedo se davvero si può volere un P.M. così. Anche ora il P.M. si toglie idealmente il cappello, si scopre la testa, non per chiedere ma per rispetto: lo fa di fronte alla Legge, di fronte alla Costituzione, di fronte a ogni cittadino (comunitario o extracomunitario) che ha davanti. E come ogni cittadino che si rispetti, lo fa davanti ai simboli dello Stato Italiano.

(Gianni Caria, Magistrato)