23 nov 2013
- I will never end being fascinated -
I will never end being fascinated…
… by the interaction between ourselves as a single person and the others
… by how the others who we met by fate, will or randomness in our journey has a direct reflection on who we are and how we evolve and think
… by the scale of actions that we might decide to take (or not to take) in order to make the World a better place (from the one-on-one mentoring to the local initiatives to entertain a small community to the big ideas that might have an influence on a global dimension)
… by the many stories that there are out there (7 billion people living today and a history of about 200,000 years) and the relatively small amount that we can live and learn about… and the fate, will or randomness that make us live or learn about them
… by the strange correlation about things-that-influence-our-range-of-action and our-range-of-action-than-can-influence-things
18 set 2013
- Cala il sipario -
Venerdi’ abbiamo
fatto calare il sipario su un pezzo importante della nostra vita.
E lo abbiamo
fatto in grande stile.
Forse non un
grande stile assoluto ma il nostro grande stile, che probabilmente e’ anche piu’
importante.
Abbiamo iniziato
con una lite in grande stile, come alcune di quelle che abbiamo vissuto in
questi anni. Quelle che rafforzano un rapporto. Quelle che scoppiano perche’ ci
teniamo troppo. Quelle che oggi sono incazzato nero ma domani amici piu’ di
prima. ‘Hai ragione, ho sbagliato’ ‘Ma figurati, sono io che ho esagerato’…
Abbiamo
continuato con una cena in grande stile, come sempre accade dalla ‘Sura.
Ci siamo poi spostati
nel luogo del delitto. Nel luogo che e’ il pretesto della festa: la nostra casa
che dal 30 settembre abbandoneremo e che iniziera’ ad essere vissuta da altri
ragazzi che con tutte le probabilita’ vivranno le nostre stesse storie, con l’unica
differenza che non saremo noi.
E abbiamo dato
vita ad un house-party in grande stile. Presenti le facce che hanno
caratterizzato questi anni. Con qualche assenza giustificata e qualcuna un po’
meno, ma comunque un’ottima rappresentanza.
Abbiamo chiacchierato bevuto, mangiato ancora, dipinto, cantato a squarcia gola, fumato,
riso… ripercorso con le parole e con la mente questi anni di vita insieme. Anni
spensierati ma non troppo, anni di occasioni cavalcate ma anche perdute. Anni
in cui ci siamo spronati a dare il nostro meglio ma nei quali ogni tanto e’
emerso anche il nostro peggio. Anni belli e comunque indimenticabili.
Il sipario e’
calato (in
grande stile) su un pezzo importante della nostra vita, delle nostre storie che in questi
anni si sono incrociate e contaminate. Chissa’ cosa rimarra’ di noi nella prossima
rappresentazione. Chissa’ se saremo ancora noi o se saremo un po’ piu’ soli.
Ciao Lusardi. This
one is for you.10 set 2013
- Fai qualcosa della tua vita -
Una festa di compleanno in riva al Po.
Una amica di vecchia data.
Una frase detta di sfuggita, forse per
caso, forse no.
Da lei a me.
Sbabam!
Non ci si vede da molto ma e’ un’istantea
fedele del mio presente stato d’animo.
Principe del non detto, Re dello sguardo
sfuggente quando la discussione si fa troppo personale.
Sto veramente facendo qualcosa della mia
vita?
Oppure mi sto autoconvincendo che bollire
lentamentamente in questo brodino insipido non sia poi cosi’ male?
Nella testa idee e buoni propositi ma solo
una parte di queste si trasformano in cose, fatti e momenti vissuti.
Nella testa ho chiaro quello che mi manca e
che andrebbe detto e fatto. La differenza tra vivere e sopravvivere.
Ma nei fatti preferisco distogliere lo
sguardo.
Alle parole che so andrebbero dette preferisco
il silenzio, che a volte dice piu’ di mille parole ma volte e' solo silenzio.
Una festa di compleanno sull’argine del Po.
Una amica di vecchia data.
Una frase detta di sfuggita, che sarebbe
bello non resti solo una frase.
Fai qualcosa della tua vita!9 giu 2013
Turchia: basta un poco di “femminismo” e la rivoluzione non va giù
É ormai famosa la foto scattata a Istanbul della donna turca, con nulla addosso se non un vestito rosso e una borsa bianca, a cui il poliziotto spruzza il gas. Quello di cui ero totalmente all’oscuro sono però alcuni giudizi che questa foto ha destato.
Caso vuole che in questo momento stia ascoltando musica turca e bevendo tè turco: mi trasferirò a Istanbul a brevissimo ma quella città mi ha già fatto innamorare così tanto di lei che ce l’ho nel cuore come se ci avessi già abitato per anni. Motivo per cui sto seguendo con particolare interesse quella che qualcuno, un po’ azzardatamente, chiama “Primavera turca”.
Detesto l’estremismo in ogni sua forma, e con eguale intensità non reggo il maschilismo. E vi prego di non tacciarmi di femminismo: sono talmente in favore dell’uguaglianza dei sessi da essere contro la festa della donna!
C’è però una tipologia di creature pseudo-umane che ancor di più aborro, la cui esistenza avevo voluto negare fino ad oggi: le donne maschiliste. Quel parassita raro ma comunque presente che si annida qua e là, che temo manco come fosse un fungo nell’hammam.
Non si capisce che educazione abbia avuto, che esperienze abbia vissuto, da che madre degenere e padre amorevole sia stato allevata: non sarò mai in grado di spiegarmi quale livello di autostima faccia sì che una donna sia pronta ad annientare, umiliare e ridicolizzare il suo stesso sesso.
Ebbene, il baillamme è successo oggi, dopo aver letto i commenti a un articolo che presentava la sopracitata foto come simbolo della rivolta turca.
“Femministi, tutti femministi quelli che approvano la foto! I veri eroi, quelli che muoiono, da sempre sono uomini, ma il femminismo vende e quindi mettiamo una donna a simboleggiare ogni fatto! Simboli delle rivolte in realtà saranno sempre gli uomini!”
Detesto l’estremismo in ogni sua forma, e con eguale intensità non reggo il maschilismo. E vi prego di non tacciarmi di femminismo: sono talmente in favore dell’uguaglianza dei sessi da essere contro la festa della donna!
C’è però una tipologia di creature pseudo-umane che ancor di più aborro, la cui esistenza avevo voluto negare fino ad oggi: le donne maschiliste. Quel parassita raro ma comunque presente che si annida qua e là, che temo manco come fosse un fungo nell’hammam.
Non si capisce che educazione abbia avuto, che esperienze abbia vissuto, da che madre degenere e padre amorevole sia stato allevata: non sarò mai in grado di spiegarmi quale livello di autostima faccia sì che una donna sia pronta ad annientare, umiliare e ridicolizzare il suo stesso sesso.
Ebbene, il baillamme è successo oggi, dopo aver letto i commenti a un articolo che presentava la sopracitata foto come simbolo della rivolta turca.
“Femministi, tutti femministi quelli che approvano la foto! I veri eroi, quelli che muoiono, da sempre sono uomini, ma il femminismo vende e quindi mettiamo una donna a simboleggiare ogni fatto! Simboli delle rivolte in realtà saranno sempre gli uomini!”
Naturale: si è mai vista una donna lottare per i suoi diritti o quelli di altri? Noi massaie siamo sempre state chiuse in casa a badare ai figli mentre il marito era in guerra per guerre volute dagli uomini: avranno sì patito le nostre ave, ma cosa sarà mai se paragonato agli eroi che morivano sul campo?
“Sono gli uomini a fare la storia, i ragazzi maschi morti - non ci stancheremo mai di sottolineare la I finale! - affrontando i carri armati e morendo in guerra. Quante donne sono morte in questa rivolta? Nessuna!”
Alla ormai passata alba del nuovo millennio fa piacere vedere che per alcuni l’unico modo di progredire è tramite la guerra, unico vero fattore rilevante nella storia. Perché citare ora una lista di donne che hanno contribuito a migliorare il pianeta e che tutt’oggi lo fanno?
Suvvia, non siamo femministe e lasciamo spazio anche agli uomini, che di certo sui monumenti ai caduti non sono nomi femminili quelli che leggiamo!
“Sono gli uomini a fare la storia, i ragazzi maschi morti - non ci stancheremo mai di sottolineare la I finale! - affrontando i carri armati e morendo in guerra. Quante donne sono morte in questa rivolta? Nessuna!”
Alla ormai passata alba del nuovo millennio fa piacere vedere che per alcuni l’unico modo di progredire è tramite la guerra, unico vero fattore rilevante nella storia. Perché citare ora una lista di donne che hanno contribuito a migliorare il pianeta e che tutt’oggi lo fanno?
Suvvia, non siamo femministe e lasciamo spazio anche agli uomini, che di certo sui monumenti ai caduti non sono nomi femminili quelli che leggiamo!
Ma il culmine è stato un commento secondo il cui autore: “Ogni volta che c’è una discussione salta fuori una donna che sa tutto! Se si parla di musulmani ha letto il Corano di Viareggio, e sta qua (me medesima!) ha turchi sul posto..”
Ancora sto cercando di capirne il vero senso. Nel dubbio ho deciso di interpretarlo nel modo più polemico e, inutile farvelo notare, più femminista possibile! Una donna che è convinta di avere ragione (e forse ce l’ha, forse forse eh), è a prescindere in torto perchè donna? Un uomo che commenta sicuro di avere ragione è più probabile che ce l’abbia?
Non so questi illuminanti signori (per parità devo dire che parecchi commenti che gridavano al femminismo erano anche di uomini!) quanto abbiano viaggiato, quanto possano conoscere il mondo, quanto sappiano l’arabo e/o il turco così da potersi informare da fonti dirette e non tramite un telefono senza fili che passa di bar in tg in gazzetta del paese. Probabilmente l’unico musulmano o turco/arabo (tutti uguali, che differenza ci sarà mai?) che conoscono è il vicino di casa che fa il kebap o che cucina con odori troppo forti e incivilmente infastidisce l’intera palazzina.
Ma torniamo seri. La miccia che ha generato le manifestazioni è il progetto di abbattere il cuore verde di Istanbul per costruirvi una serie di edifici tra cui un centro commerciale e la moschea con i minareti più alti al mondo.
Tutto qui? Possibile. Come si spiega allora che si sia estesa in 67 paesi turchi? Decine di manifestazioni solidali organizzate in varie città europee per una manciata di alberi, mi sembrerebbe un’esagerazione.
Continua da quasi una settimana ormai: perso il suo carattere ambientalista è diventata la più grande espressione di dissenso contro l’attuale governo che si sia mai vista. Il Presidente Erdogan viene accusato dai suoi cittadini, ormai stanchi, di essere un dittatore, ancora prima che un islamista che minaccia la laicità della Turchia. Grazie all’altissima percentuale di voti ottenuta alle ultime elezioni, il partito di Erdogan (AKP), è in grado di prendere decisioni e varare leggi senza che l’opposizione possa in alcun modo fare il suo lavoro di opposizione: il sistema democratico di cui la Turchia si vanta non è pertanto in crisi di nome, quanto di fatto.
Ancora sto cercando di capirne il vero senso. Nel dubbio ho deciso di interpretarlo nel modo più polemico e, inutile farvelo notare, più femminista possibile! Una donna che è convinta di avere ragione (e forse ce l’ha, forse forse eh), è a prescindere in torto perchè donna? Un uomo che commenta sicuro di avere ragione è più probabile che ce l’abbia?
Non so questi illuminanti signori (per parità devo dire che parecchi commenti che gridavano al femminismo erano anche di uomini!) quanto abbiano viaggiato, quanto possano conoscere il mondo, quanto sappiano l’arabo e/o il turco così da potersi informare da fonti dirette e non tramite un telefono senza fili che passa di bar in tg in gazzetta del paese. Probabilmente l’unico musulmano o turco/arabo (tutti uguali, che differenza ci sarà mai?) che conoscono è il vicino di casa che fa il kebap o che cucina con odori troppo forti e incivilmente infastidisce l’intera palazzina.
Ma torniamo seri. La miccia che ha generato le manifestazioni è il progetto di abbattere il cuore verde di Istanbul per costruirvi una serie di edifici tra cui un centro commerciale e la moschea con i minareti più alti al mondo.
Tutto qui? Possibile. Come si spiega allora che si sia estesa in 67 paesi turchi? Decine di manifestazioni solidali organizzate in varie città europee per una manciata di alberi, mi sembrerebbe un’esagerazione.
Continua da quasi una settimana ormai: perso il suo carattere ambientalista è diventata la più grande espressione di dissenso contro l’attuale governo che si sia mai vista. Il Presidente Erdogan viene accusato dai suoi cittadini, ormai stanchi, di essere un dittatore, ancora prima che un islamista che minaccia la laicità della Turchia. Grazie all’altissima percentuale di voti ottenuta alle ultime elezioni, il partito di Erdogan (AKP), è in grado di prendere decisioni e varare leggi senza che l’opposizione possa in alcun modo fare il suo lavoro di opposizione: il sistema democratico di cui la Turchia si vanta non è pertanto in crisi di nome, quanto di fatto.
Dalle grandi innovazioni di Ataturk, la Turchia sembra ora regredire: è appena entrata in vigore una legge che limita l’acquisto di alcool e si sta parlando di rendere nuovamente obbligatorio il velo per le donne, tra le altre cose.
Non so voi, ma se io mi vedessi negati dei diritti che mia nonna già dava per scontati, in piazza ci andrei eccome, e sarei pronta a farmi chiamare femminista dai miei stessi connazionali che dal dietro del loro schermo chiedono cambiamenti e si dichiarano stanchi e rivoluzionari.
27 mag 2013
50 shades of silence
Oggi il Parlamento italiano ha discusso la ratifica della Convenzione
di Istanbul contro la violenza sulle donne, convenzione su cui la Commissione
Europea lavora dal 2011 e che non ha ancora totalizzato le 10 ratifiche
necessarie ai fini dell’entrata in vigore. Ad oggi, infatti, un solo stato ha
ratificato la Convenzione: la Turchia.
Quando si parla di violenza sulle donne i più superficiali sorridono,
pensano a questi eventi come a situazioni lontane dalla realtà quotidiana e
alcuni addirittura alzano gli occhi al cielo quando si accenna all’argomento,
quasi fosse un tema di cui vergognarsi. Ma la vergogna non nasce dalla
consapevolezza che in un paese “democratico” come il nostro esistano ancora
discriminazioni tanto radicate, esistano convinzioni sociali tali da impedire
ad una donna di sentirsi pari ad un uomo al lavoro, a casa e perfino in
macchina. Si, perché chissà quante volte ho sentito qualcuno affermare “guarda
come guida quella, senza dubbio è una donna”. La vergogna la sente addosso chi
racconta, riflette, discute del fatto che oggi, nel 2013, le donne siano ancora
costrette a subire pressioni verbali, psicologiche e in molti casi fisiche,
solo perché donne.
L’errore è pensare che tali violenze possano esplicarsi solo tramite
condotte fisicamente invasive, ma ciò che la maggior parte degli individui di
sesso maschile e femminile al contempo dimenticano di considerare, è che
esistono anche le forme di violenza più sottili, quelle che non si vedono,
quelle a cui, per assurdo, siamo abituati.
Tutti si sconvolgono per le plateali tragedie che consumano la cronaca
quotidiana: donne stuprate, strangolate, bruciate. Ma c’è qualcuno che si
domanda “Perché gli uomini si sentono in diritto di possedere una donna al
punto tale da decidere deliberatamente quando e come picchiarla, violentarla,
ucciderla?”. Perché alla donna si associa il verbo possedere? Perché le donne
lasciano che questo avvenga? La violenza nasce per ideologia e comincia dalle
semplici strumentalizzazioni di cui la nostra società è colma ma a cui,
appunto, noi siamo abituati. La prostituta, la velina, la ragazza immagine sono
tutti ruoli che non riusciremmo neanche ad immaginare al maschile, perché
dopotutto l’idea di vedere due uomini che ballano sul palco di Striscia non ci
appare così naturale; l’idea di assumere dei ragazzi per fare gli steward fuori
dai negozi non sarebbe produttivo quanto avere delle hostess carine e disponibili
che ti sorridono all’entrata.
Ma nella maggior parte dei casi l’equazione per questi spunti di
riflessione ha come risultato una risata flebile, quasi piena di compassione
per te, donnetta sensibile ed eccessivamente emotiva che consideri anormali
cose come ammiccare agli estranei per indurli a comprare un prodotto o
sculettare in pompa magna on air, che in realtà di anormale non hanno nulla.
Per essere chiari, l’anormalità non è legata all’atto in sé ma al fatto
che quel gesto, quel ruolo, quell’immagine venga costantemente associata solo
alla donna, perché dopotutto se non è la donna che lo interpreta quel ruolo può
funzionare.
Queste quotidiane forme di strumentalizzazione non possono far altro
che riflettere le reali condizioni che ogni donna vive all’interno della nostra
società: una società in cui se ti opponi a simili forme di esibizionismo sei
una femmina isterica ed anticonformista che discrimina chi invece accetta di
buon grado di essere etichettata come “la donna tipo a cui non dispiace usare
se stessa per guadagnare qualcosa”; una società in cui se sei lontanamente
carina le tue qualifiche professionali vengono letteralmente fagocitate dal tuo
reggiseno; una società in cui quando lasci la macchina in doppia fila e
qualcuno ti suona senti in sottofondo il commento di qualche uomo affacciato
che dice “eh, figurati, poteva essere solo una donna”
Quante forme di violenza esistono e quante ne stiamo incentivando?
Quanti altri sorrisetti,sguardi nel vuoto, commenti sarcastici dobbiamo sentire
prima che qualcuno si accorga che non si parla di fantascienza o di melodrammi
alla Greta Garbo,ma che questo è un problema vero, una realtà concreta e
tangibile? Perché oggi l’aula di Montecitorio era quasi vuota mentre si
discuteva la ratifica della Convezione di Istanbul?
La risposta temo sia sempre la stessa: non ci preoccupiamo dei problemi
finchè non diventano tangibili, finchè non viene platealmente discriminata,
violentata o picchiata una donna che amiamo, finchè non capiamo cosa significhi
provare quel senso di rabbia e di sdegno quando qualcuno ti ride in faccia se
parli di discriminazione sessuale.
Il Gender Equality Gap Report del 2012 ha classificato l’Italia all’80°
posto nel ranking dei paesi politicamente attivi per ridurre le differenze di
trattamento fra uomo e donna.
In Italia 1 donna su 3 subisce violenze domestiche e solo il 15% di
queste donne ha il coraggio di sporgere denuncia, una denuncia che in media
solo dopo 6 anni si traduce in reclusione.
Anche io alzo gli occhi al cielo, ma insieme agli occhi alzo anche la
voce perchè, ridete pure, ma io a certe cose non mi voglio proprio abituare.
(Giulia 27/05/2013)
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15 mag 2013
- La parte americana della famiglia -
Sono passati dieci anni
dall’ultima volta che ci siamo visti. Pressoche’ nulli i contatti e-mail.
Assolutamente nullo qualsiasi altro tipo di comunicazione, anche se la
tecnologia lo consentirebbe. Ma siamo fatti cosi’.
Piu’ di un anno fa la notifica: “We are going to be in Tuscany in May 2013. Don’t make plans for that week because you will have to come to visit us.” Make plans? Con un anno di anticipo? Qui si vive alla giornata! Comunque date scolpite nel calendario.
May 2013 e’
arrivato ed eccoci qui. Dieci anni dopo.
“You used to pray before starting the meal. Don’t you do that anymore?” “Naaa. Things have changed”
“What places do you want to visit next?” “India attracts me
a lot and I still didn’t have the chance to visit it. I also have in mind to
take a longer break sooner or later and make a trip around the World” “Make
sure you do that before you have a family”
The family! I bimbi da uno sono diventati quattro. E finalmente viene piu’ facile associare ad un nome una faccia, ed anche una personalita’.
Quello che ci sorprende e’ la loro educazione. Loro non vanno a scuola ma studiano a casa con i genitori [“Schools are stressing too much competition and focus too much on grades instead on making sure that kids actually learn”]. A fine anno fanno un test che certifichi il passaggio di classe. I test li tiene la mamma a casa, nel caso un giorno qualcuno chiedera’ di vederli.
I bambini
percepiscono una paghetta settimanale che amministrano attraverso un conto: 50
centesimi moltiplicati per il loro anno di eta’ alla settimana, quindi un
dollaro e mezzo la piu’ piccola e 5 il piu’ grande perche’ “it’s better if they
start making mistakes with small amounts”. Il conto fino ad un ammontare di
500$ da’ un interesse del 6%, per incentivare il risparmio.
“How old were you when you have done your exchange in US?” “Seventeen” “Eli, would you like to go to study abroad when you grow older?” “Mmm, no” “You are ten, maybe you’ll change your mind. We’ll see”
Tra bottiglie di vino e banchetti generosi, tre giorni sono volati. “It’s picture time, we do not want to forget this re-union. Do we?”. “Kids, see you in ten years” [“By that time Eli will be 20 and Hillary 14, it is going to be a fun”]. Abbracci. Lacrime. Cala in sipario.
See you in ten years, family. O magari, volendo, anche un po’ prima. We’ll see.
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viaggio
10 mar 2013
- Senza titolo -
Diciassette anni. Una
vita tutta da vivere ma un peso sul cuore tale da decidere di farla finita. Lanciandosi
nel nulla, forse con il desiderio di volare via. Lasciando un vuoto immenso
nella sua famiglia, nei suoi amici e coetanei e nella citta’ stessa.
Non ho mai capito se si
tratti di un atto di estremo coraggio o di estrema fragilita’. E forse non lo
voglio nemmeno capire. E forse non ha nessuna importanza.
E’ difficile rimanere
indifferenti di fronte a un gesto cosi’ estremo. Difficile e’ non porsi domande,
non fermarsi a riflettere. Tre sono i pensieri che questa triste storia mi
porta alla mente.
La vita e’ un dono meraviglioso.
Ed e’ un dono che noi rinovviamo ogni secondo portandola avanti, abbracciando e
immergendoci nelle gioie e nelle sfide, negli ostacoli e nelle opportunita’ che
ogni giorno ci tocca affrontare. ‘La vita e’ troppo breve per bere vini
mediocri’ era lo screen sever del computer di mia sorella quando io avevo l’eta
di Mirko. Quella frase(che scopro oggi essere stata scritta da Goethe) mi ha
insegnato molto. La vita e’ un dono meraviglioso. Apprezziamone ogni secondo
che ci viene regalato e che ci regaliamo.
L’uomo e’ un animale
strano. Difficile da leggere e da comprendere. E a volte coloro che ci sembrano
i piu’ forti e invincibili sono in realta’ i piu’ fragili e vulnerabili (non e’
forse questa la caratteristica piu’ tipica dell’adolescenza?). Anche su una
persona ci sembra forte, non esitiamo ad allungargli una mano quando solo ci
sfiora il dubbio che possa averne bisogno.
La rete (e in questo caso
particolare facebook) non e’ astrazione ma vita assolutamente reale. Con e
attraverso di essa comunichiamo con il resto del mondo. Comunichiamo chi siamo
e chi vorremmo essere, le nostre gioie e le nostre pene. Comunichiamo al mondo.
E il mondo ci ascolta. A volte ci applaude, altre ci strida. A volte ci aiuta…
altre non arriva in tempo.
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