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3 mag 2011

- Interrail #16 -


Capitolo Sedicesimo: 
Plaza de Castilla




[Ascolto consigliato: Bastards on Parade – Dropkick Murphys]

“Però poi al ritorno ci andiamo al Bernabeu, vero?” disse Mike uscendo dalla metro.

“Plaza de Castilla non è sicuramente tra le principali attrattive turistiche della città. Mi spiego meglio: se fosse nella mia città sarebbe sicuramente uno dei poli artistici e più rinomati luoghi di ritrovo, ma in una città come Madrid non si merita neanche di essere menzionata sulla guida. Va bene. Non è neanche una delle peggiori. E' molto grossa. Ci fanno capolinea un sacco di autobus. Ci sono questi due edifici strani situati uno di fronte all’altro e pendenti uno verso l’altro. C’è una fontana con dietro una colonna classica o qualcosa del genere. C’è il Mc Donalds. Il punto è che noi ci abbiamo sprecato un sacco di foto, facendo la figura dei giapponesi, con i passanti che magari  pensavano “Ma che cosa c’è da fotografare qua? Che vadano nel centro città a Puerta del Sol o alla zona dei parchi questi ragazzi, hanno proprio sbagliato zona per fare i turisti! Questa è una piazza come tante…”. Eppure quei due edifici ci hanno intrigato. Personalmente mi facevano tornare alla mente una foto scattata cinque anni prima, durante il viaggio dopo l’esame di terza media con la mia famiglia negli Stati Uniti. Una foto scattata nell'agosto 2000 a New York che mi torna spesso in mente. Una foto scattata dal basso verso l’alto a una delle due Torri Gemelle. Allora era un bel gioco di prospettiva fatto da un pivello con la mano tremolante perché non sapeva usare una macchina fotografica. Ora per me è la testimonianza che io sono stato sulle Torri, ma soprattutto mi fa pensare che a 14 anni ero talmente ingenuo da non poter neanche lontanamente immaginare una catastrofe del genere. Un turista non si guarda attorno e non si chiede perché, ma guarda il mondo da dietro l’obiettivo e scatta fotografie. Ora ho vent’anni sono ancora un ingenuo, sono ancora un fotografo pivello e continuo a fare il turista. L’unica differenza è che adesso a volte mi chiedo perché e interpreto le cose a modo mio, non nel modo giusto, ma nel mio modo.”

Questo scrivevo il 26 Maggio 2006, a quasi un anno di distanza dal viaggio. Sono le classiche frasi fatte di chi si crede grande, ma dice il contrario. Di chi si crede un pensatore. Di un filosofo mancato. Avevo vent'anni. Ora ne ho venticinque, sono stato a Madrid altre 3 volte, ho vissuto 5 mesi in Spagna, ho vissuto 10 mesi con un madrileno della zona di Plaza de Castilla. Sono sicuramente meno ingenuo di allora. E sicuramente mi sento meno grande. E meno filosofo. La maturità arriva quando smetti di sentirti “più grande di prima”, perchè ormai lo sei. Ora lavoro. E non sono ancora grande abbastanza. Solo alla fine della tua carriera universitaria ti puoi rendere conto di essere tutt'altro che arrivato e di avere ancora tutto da imparare. Ho visitato 15 paesi in 2 continenti diversi. Per essere considerato un vero backpacker me ne mancano ancora 10 e 3 continenti.

Chiedo ufficialmente scusa a tutti coloro che sostengono che Plaza de Castilla a Madrid sia una delle più fascinose e turisticamente valide piazze della Spagna. Con il senno di poi, lo penso anch'io.


26 apr 2011

- Interrail #15 -


Capitolo Quindicesimo: 
Retiro




[Ascolto consigliato: Schism – Tool]

Madrid, Venerdì 15 Luglio 2005 ore 15.46.
Ventiquattro ore fa stavamo per atterrare a Barajas. Fra quattro ore partiremo per il Portogallo. Tre giorni fa ero l'unico dei miei amici a non essere ancora maturato. Tra tre giorni sarò ancora in Portogallo, forse. Quattro sere fa tutti i miei amici, o quasi stavano festeggiando. Phil forse non ne aveva molta voglia, conoscendo il suo voto. Ma la fine degli esami di Jeff, suo compagno di banco, rappresentava un evento a cui non poteva rimanere indifferente. Mike...beh per Mike ogni occasione è buona per festeggiare. E così quei tre passarono tutta la notte in giro. Mentre anche Paulie festeggiava, probabilmente con la sua ragazza. Mentre Alex, già partito per Roma, festeggiava nella capitale. Mentre Stone e i suoi compagni facevano il falò di quaderni e libri di scuola del liceo. Mentre Irons passava la notte insonne, con l'inquietudine tipica di chi ha l'orale il giorno dopo. Quattro notti fa nessuno dei miei amici ha dormito molto, a differenza di me che potevo godere del sonno incosciente di chi sa che non è domani, ma dopodomani. Però domani sarà un giorno di studio matto e disperatissimo. Perciò meglio non pensare e dormire. Effettivamente, da allora non mi ero più fermato un attimo. Fino ad ora, protetto dall'ombra di esili alberi in un punto non meglio precisato del parco, semi assopito come tutti i miei compagni di viaggio. Fa un caldo inumano. Ed è per questo che andremo verso il mare. Quattro notti fa era la notte prima della notte prima degli esami. Non so dove sarò fra quattro notti.

Nel frattempo erano probabilmente usciti i voti ufficiali della nostra classe. Noi, più o meno, già  sapevamo i nostri. Ma eravamo troppo stanchi per discuterne. Troppo lontani con la mente per informarci su quelli che non conoscevamo. Eravamo in viaggio. Decidemmo che era ora di muoversi, perciò ci addentrammo nel parco alla ricerca di… qualcosa. Non so bene cosa, un punto di ritrovo per giovani, delle ragazze, artisti di strada, un concerto rock, un campo da basket, qualsiasi cosa. Invece trovammo solo uno stagno brutto, tortuose stradine secondarie che ci facevano girare in tondo e poi vialoni assolati che ci fecero rimpiangere le stradine. Non c’era anima viva, non avevamo la minima idea di dove ci trovassimo e faceva un caldo terribile. Irons disse: “Ucciderei per una bottiglietta d’acqua” ed era un po’ il pensiero di tutti. Trovammo uno spiazzo che poteva forse essere indicato sull'approssimativa cartina della nostra guida e capimmo di essere dalla parte sbagliata. Dopo venti minuti buoni di cammino in cui non incontrammo anima viva apparvero, come un miraggio, un bar, dei tavolini e uno specchio d’acqua. Ci precipitammo, con le poche forze che rimanevano, a comprare dell’acqua, senza pensarci due volte. Ovviamente nel chiosco dieci metri più avanti la bottiglietta costava di meno. Per puro caso vicino a quel laghetto con tanto di servizio barca, c’era un’uscita che riportava alla zona del Prado. Mentre indugiavamo con le foto uno straniero si avvicinò. “Italiani, vero?” “Sì” “Aah Italiani! Pizza, spaghetti…” Noi continuammo “Sì… mafia, mandolino”. Poi lui, con gli occhi che si illuminavano: “Fumo! Fumo fumo fumo! Buono volete?”. Ma perché al concetto di “italiano” tutti associano automaticamente la parola “fumo”? Dopo aver rifiutato con il solito “No grazie, siamo sportivi” ci dirigemmo verso il nostro prossimo obiettivo: la stazione ferroviaria di Chamartin. Mike, consultando la piantina della metro disse: “La linea è chiusa per lavori nell’ultimo tratto, potremmo scendere un paio di fermate prima al Bernabeu” facendo sì con la testa  a cui io replicai, scuotendo la testa: “Sì, ma la più vicina è Plaza de Castilla e non ci resta molto tempo…”

21 apr 2011

- Interrail #14 -


Capitolo Quattordicesimo: 
La svolta



[Ascolto consigliato durante il pezzo: La strada – Modena City Ramblers]

Venerdì 15 Luglio 2005, molto prima dell'alba.
Il mio dolce e meritato riposo viene interrotto da un irritante beep che si ripete inesorabilmente. Apro gli occhi, buio pesto. Non è mai facile svegliarsi al mattino. Ancora meno se il giorno prima è stata una giornata lunga e intensa. Ancora meno se sai che quella che sta per venire non sarà una giornata meno lunga e meno intensa. Ancora meno se il tuo primo pensiero è “ma quell’idiota di Irons doveva proprio mettere su un casino del genere? Mica siamo solo noi in stanza!” Mentre il rumore continua incessantemente, io mi rigiro dentro al sacco a pelo cercando una posizione comoda per godermi al massimo quei pochi momenti di riposo rimasti. Sento dei rumori provenienti dal letto di sotto. Intanto la sveglia smette di suonare. “Ecco… Lo sapevo che le avremmo svegliate! Bravo Irons! Imbecille!”. Questo è il mio ultimo pensiero prima di riaddormentarmi di nuovo.

Un paio d'ore dopo... “Eddie sveglia! Andiamo a fare colazione”. La mia risposta è un verso assonnato che ha un che di inumano. Ancora intontito, mi guardo attorno. Nella stanza c’è parecchia luce e molti letti sono vuoti. Lo stupore mi fa svegliare quasi del tutto. “Ma… che ore sono?” “Sono le otto e mezza. Le ragazze avevano messo la sveglia prestissimo. La mia è appena suonata!” Mi risponde un attivissimo Irons. “Suonata?Non l’ho sentita”. “In realtà c’era la vibrazione. Ma comunque ero già sveglio da un pezzo. Alora… andiamo a fare colazione? E poi…iniziamo a conoscerle!”. Irons, proprio un bravo ragazzo!

Ore 8.43. A colazione elaboriamo un piano d’attacco. Che si fa oggi a Madrid? Museo del Prado? E stanotte? Dove si dorme? Ma stanotte saremo ancora nella capitale? E allora come ci muoviamo? Macchina o treno? L’unico che non ha dubbi e continua a parlare di nove inglesine è solo Irons. La questione del mezzo di trasporto era sicuramente la più importante. Ma è inutile andare tutti insieme alla stazione a chiedere informazioni (ricordo che nessuno sapeva esattamente cose fosse un biglietto interrail). Mike e Stone si offrono volontari.

Ore 9.09. Jeff va a riassettare la sua roba in camera, la solita fighetta (ma cosa aveva da sistemare dopo neanche un giorno?), io e Irons andiamo nella nostra e facciamo finalmente conoscenza delle ragazze. Nove ragazze per noi. Beh... in realtà sette. Le due che stavano ancora dormendo erano state scartate già prima di colazione. Dopo una prima rapidissima quanto precisa occhiata perdono subito la tipa che dormiva sotto di me per aver fatto suonare quell'irritante sveglia. Perché è decisamente la migliore. Quindi dimostro tutta la mia grande padronanza della lingua inglese con un Hi”, non per forza rivolto a lei, che stava seduta per terra a leggere una guida. Timidi, per non dire indifferenti, “Hi” in risposta. Quindi prendo un po’ di tempo facendo finta di sistemare qualcosa nello zaino dentro all’armadietto. Cosa ci volete fare… io ero quello che poteva leggersi la guida, parlare con le reception degli alberghi, ma sicuramente non il più adatto per interagire con le ragazze. Il frontman era Mike e questo lo sapevamo tutti, ma non si era particolarmente interessato alla faccenda. Stone e Jeff in caso di straniere erano tagliati fuori per problemi di comunicazione. Irons nonostante il suo quattro di inglese era in grado di trasformarsi davanti a ragazze straniere, ma in rispetto del mio otto si limitò a ripetere le mie mosse. Una biondina che strappava la sufficienza si dimostrò più disposta delle altre a fare quattro chiacchiere. Irons si buttò su quella. Io scambiai qualche battuta con alcune delle altre e appresi da quella che dormiva sotto di me che stavano per uscire e andare al Museo del Prado e mi feci indicare sulla loro cartina dove fosse. Poi in neanche cinque minuti loro uscirono. Arrivò Jeff, che si era già cambiato tre volte dall'inizio del viaggio. Uscimmo anche noi.

Ore 9,32. Le strade sono semi deserte. Noi passeggiamo senza meta per le vie, osservando la città che si sveglia, i negozi che aprono, i viaggiatori assonnati che riprendono il loro cammino dopo una notte passata a dormire nelle piazze. O almeno, questa è l’impressione che mi dà il giovane, a quanto pare mezzo italiano, che ci ferma. Appena ci rivolge la parola istintivamente tutti e tre guardiamo in alto per vedere se ci stanno buttando addosso del materiale lattiginoso (maledetta guida turistica!), invece voleva semplicemente venderci dell’hashish. Alla nostra solita risposta “Non fumiamo. Siamo sportivissimi!”lui dice “Beati voi!”, però si capisce che il suo pensiero è “Non vi fidate di me? Guardate che io ho roba buona… Peggio per voi!”. In quella mezz’oretta di vagabondaggio casuale io stavo abilmente cercando di portare gli ignari Jeff e Irons verso il negozio “Madrid Rock”, segnalato sulla guida, nella speranza di scoprire che i CD in Spagna non costano nulla o di trovare qualche bella maglietta di un gruppo rock (ne sparo uno a caso: Pearl Jam). Sta di fatto che quando arrivammo in Gran Via quello era chiuso, il sole iniziava a battere parecchio forte ed era già ora di tornare alla base per sapere i risultati della spedizione di Stone e Mike.

Ore 10.40. “C’è un treno per Porto che parte stasera, la menata è che domattina alle sette dobbiamo cambiare a Pourrinho.” “ Fa lo stesso. Ora d’arrivo?” “Undici del mattino”. “Perfetto. Ok, aggiudicato, lo prendiamo. C’è solo un problema: Irons non la prenderà troppo bene.” “Irons? Perché? Non dirmi che per quelle ragazze là… ma allora è proprio scemo.” “Beh... in effetti non credo che abbia troppe speranze, forse lo sa anche lui, ma si incazzerà lo stesso. Un’altra cosa: dov’è Pourrinho?” “Boh? Cerchiamolo sulla cartina…” Questa è stata la rapida quanto decisiva conversazione tra me e Mike. Avevamo circa venti minuti per sbaraccare tutto e andarcene via dall’ostello. Non è stato facile convincere Irons. Anzi, direi che lui mi ha riversato addosso una discreta pioggia di insulti e stavolta non aveva neanche troppo torto. Io e Mike avevamo deciso senza interpellare nessuno. In realtà senza interpellare lui perché Jeff non sa scegliere e Stone si adatta praticamente a tutto. Quindi saremmo stati comunque due contro uno.

Ma perché IO volevo andarmene? In fondo anch’io ci perdevo qualcosa in quella storia. Questo era quello che Irons non riusciva a capire. Eppure non ho esitato neanche un secondo. Perché? Per quanto stupido possa sembrare penso che sia per il fascino della vita “on the road”. Non sono mai andato molto oltre pagina 45 del libro di Kerouac (presto lo ricomincerò e dovrò anche finirlo: non si può raccontare un viaggio senza aver mai letto “On the road”), ma l’idea di poter essere padroni del proprio destino, l’idea che centinaia di persone sparse per decine di città aspettavano solo che noi le conoscessimo era molto più entusiasmante di una improbabile conquista in ostello. La storia del lanciare una monetina a caso su una cartina della Spagna e poi recarsi esattamente in quel posto, ovunque fosse, che eravamo soliti ripeterci io e Stone mesi prima si era profondamente inculcata dentro la mia testa. Impossibile cancellarla. Conoscere gente nuova, visitare posti, cambiare città, ricominciare tutto da capo era il massimo che potessi desiderare da quel viaggio. Inoltre, la facilità con cui ci eravamo trovati a che fare con un gruppone di ragazze poteva comunque considerarsi un ottimo inizio.

La prima vera svolta. Non più una casuale e apparentemente insignificante scelta del tipo “ma entriamo in questo albergo o in quello là?”. Per una volta il potere di decidere il futuro (immediato) era in mano nostra (mia). Per la prima volta mi apprestavo a riempire con la mia pessima calligrafia le bianche pagine di quel libro che rappresentava il nostro viaggio.

Ore 10.59. “Dai che nel prossimo ostello ci troveremo in camera con delle altre!” Questo era l'unico argomento che potevo usare contro le sue lamentele. Perciò sdrammatizzammo la situazione facendo la prima foto del viaggio. Lui semi sdraiato sul letto della sua biondina con un romanzo rosa inglese (sicuramente appartenente a lei) in mano. “Se le piace quella roba forse non è il tuo tipo...” “Potresti aver ragione, Eddie, ma mica me la dovevo sposare…” “Bella foto che è venuta… sembra che tu stia facendo tutt'altro...”“Fa vedere…Oh no! AH AH AH! Non ci credo!”. Irons, un bravo ragazzo!

13 apr 2011

- Interrail #13 -


Capitolo Tredicesimo: 
Nove ragazze per Irons



Ce l’hanno con me. Me l’hanno fatto apposta. C’erano nove (dico NOVE) ragazze che aspettavano solo noi e se le sono fatte scappare. E’ tutta colpa loro. Ma come si può essere così? Perché? Perché hanno deciso di andare via? Forse è stato Mike, per farmi un dispetto. D’altronde lui era tagliato fuori dai giochi. Era una cosa per Eddie e me. Solo noi due avevamo avuto la fortuna di capitare in stanza con loro. Non riuscirò mai a capire Eddie. Tanto bravo a scuola eppure... eppure so che anche lui non dice di no davanti a una bella ragazza… Insomma erano lì su un piatto d’argento e proprio lui ha deciso di cambiare città. Non cambiare albergo, che già sarebbe stato stupidissimo... ma addirittura CAMBIARE CITTA'! Cazzo!

Avete ragione: forse non sono troppo chiaro. Alora… partiamo dall’inizio, cercherò di essere lucido e insulterò la sfortuna e i miei compagni di viaggio solo dentro di me. Alla reception ci dissero che dovevamo dividerci in due stanze “Per me non è un problema, l’importante è sistemarsi dopo un viaggio così lungo”dissi. D’altronde è dura trovare una camera per cinque. Per me ok andare nella camera a due, bastava solo non essere con Mike (e penso che il sentimento sia reciproco). Mentre salivamo le scale Stone azzardò che, essendo in ostello, probabilmente le sistemazioni sarebbero state in camerate da una decina di letti e senza bagno, non una doppia e una tripla. “Cavolo, dormire con degli sconosciuti sicuramente non è un problema” pensai “a volte può essere sgradevole, ma può essere anche mooolto piacevole… Se però non c’è il bagno... non mi esalta molto l’idea di dover uscire dalla stanza di notte e andare in un bagno che per la legge di Murphy sarà dall’altra parte del piano”. Eddie non riusciva ad aprire quella porta, l’attesa si faceva sempre più snervante, dovevo sapere. Cavolo, doveva esserci il bagno! Mentre Eddie continuava a litigare con la serratura vedo che Jeff esce dalla sua camera. I miei occhi lo squadrano sospettando la verità…”Dove vai?” “In bagno!”.

Il mio disappunto interiore viene interrotto dalla voce di Eddie che urla “Ce l’ho fatta!” e si tramuta in… un'esclamazione di gioia! Mi basta una sola occhiata per capire che quei vestiti sul letto possono appartenere solo a una donna (o un transessuale…brrr… rabbrividisco al solo pensiero!) . Altre rapide occhiate confermano ulteriormente la mia gioia… siamo finiti in una stanza piena di ragazze! “Straniere, probabilmente”, come mi fa notare Eddie indicando un libro in inglese su uno dei letti. Yeeeeeeeeah! Chi se ne frega del cesso! E’ la mia occasione, me lo sento!

“Non c’è tempo per inseguire delle inglesine che non sono neanche in camera, dobbiamo  prepararci e andare all’appuntamento con Felix” disse Eddie. Una notte nella movida di Madrid ci aspettava. Prima ci si ubriaca, poi si rimorchia in discoteca e infine si rimorchia anche in ostello. Questa vacanza non poteva iniziare meglio! Ho passato tutta la serata a ripassare le frasi d’approccio in inglese e a fantasticare su cosa ci avrebbe aspettato al ritorno in camera. Una serata in cui non si è rimorchiato, ma tutto sommato abbastanza divertente lo stesso (Hola Paquito!).

Al nostro ritorno in camera loro stanno già dormendo. Non ci sembra il caso di svegliarle ed è troppo buio per mettersi a guardarle perciò cerchiamo di andare silenziosamente a dormire. La mattina appena svegli inizia il corteggiamento: dopo un rapido ma sapiente sguardo ho già individuato la mia preda, che guarda caso dorme nel letto accanto al mio. Non quella figa che dorme sotto il letto di Eddie (sicuramente troppo difficile), ma una biondina carina che sembra dimostrarsi amichevole nei nostri confronti. Tra le altre ragazze alcune sono probabilmente contrariate dalla nostra presenza (i due cessi, chi se ne frega) altre ci ignorano (tra cui, purtroppo, quella figa). Non sembra andare male, insomma, lei parla. Nonostante il mio due fisso di inglese non me la cavo poi tanto male con la lingua. Quando ci sono di mezzo delle ragazze nordiche sono disposto a tutto. Loro escono per fare colazione, noi per fare due passi in centro, ma come primo approccio non sembra sia andato male, anche Eddie (che essendo un genio a scuola non ha problemi con l’inglese) ha scambiato due parole con le ragazze (addirittura con la figa! Bravo Eddie!). Insomma oggi pomeriggio si continua con l’approccio e poi stasera… stasera…
Le parole di Eddie mi giungono all’orecchio come una mazzata. “Ho parlato con gli altri, stasera siamo in Portogallo”. “Cooosa? Ma stai scherzando? E le ragazze?” “Quali rag… ah! Non mi dirai che ci speravi… ci hanno cagato a malapena!” “Ma… io… la biondina… non puoi farmi questo”. “Dai…comunque non avevamo speranze… ne troveremo molte altre. Qua fa un caldo allucinante e poi non sei ansioso di metterti in viaggio?” “No! Non se qua ci sono delle inglesine. Non si può cambiare idea?” “Ormai è deciso, alle undici, cioè tra venti minuti, bisogna fare il check-out, magari lasciamo gli zaini in reception, poi li recuperiamo prima di prendere il treno!”. Capendo di avere perso, il mio sconforto si tramutò così in rabbia “No eh? Me lo fate apposta…possibile che abbiate deciso senza di me? Va bene, suppongo di non avere scelta. Ma comincia male questo viaggio! Che sia la prima e l’ultima volta che abbiamo un gruppo di NOVE ragazze pronte per noi e decidiamo di andarcene… Manco fossimo tutti gay!” Come puoi avermi fatto questo Eddie?

(Irons)

Se qualcosa può andar male, lo farà. 

4 apr 2011

- Interrail #12 -


Capitolo Dodicesimo: 
Odio le discoteche




“Il chitarrista sembra bravo, sto assolo non è mica male” disse Irons, il metallaro.
“Ma dai!Ha dei baffi che sembra un messicano! Secondo me invece la cantante non è mica male... e non intendo a cantare...” la risposta di Mike, tanto per cambiare non era d'accordo.
“HOLA PAQUITO!” disse Jeff, il simpatico, a cui fece eco prima la cantante e poi tutta la sala.

Nel mondo ideale e fantastico creato dalla redazione del nostro giornalino scolastico ogni pezzo doveva avere un suo contrario. Ovviamente questo non succedeva sempre. Anzi quasi mai. Ed era allora che chiamavamo in causa George Orwell e la frase “Tanto è come nel Bipensiero. Si può fare tutto e il contrario di tutto.” Irons scrisse sul quarto numero un pezzo pro metal e, per puro caso, in quel numero c'era anche un pezzo anti metal. La disputa è abbastanza vecchia e scontata. Da un lato è una lotta a smentire lo stereotipo “metal=rumore”, citando musicisti tecnicamente eccelsi,gruppi armonici, grande cura nei particolari e pezzi di storia della musica. Dall'altro si alimenta lo stereotipo “metallaro=persona rozza e tamarra” descrivendo modi di vestire, abitudini e rituali tipici. Si tratta di argomenti che appartengono a due dimensioni completamente diverse. Si tratta di generalizzazioni per cui si potrà sempre trovare un'eccezione. Il punto è che l'Oceania è in guerra con l'Eurasia e alleata dell'Estasia e lo è sempre stata. E' scritto così su tutti i libri, manifesti, documenti e poco importa se solo quattro anni fa era il contrario.

Sull'argomento della tecnica io sto dalla parte di Irons. Il chitarrista di flamenco sembrava bravo quindi mi piaceva quello che ascoltavo. Però non sono un metallaro. Sono convinto che ,entro certi limiti, i nostri gusti musicali siano decisi da noi. Ogni canzone in commercio è tendenzialmente orecchiabile o ben strutturata, frutto di un lavoro molto superiore a 3, 4 o 5 minuti. E quindi degna di essere ascoltata. Ma noi decidiamo che ci piace un solo tipo di genere. Lo ascoltiamo e riascoltiamo finchè non ci piace veramente. Irons ha deciso che il suo genere è il metal, io ho deciso che il mio genere è il rock. A tratti i due generi combaciano, ma non sempre. E la differenza tra me e lui sta tutta qua. L'altra differenza è che io odio le discoteche e lui no.

Ho 19 anni, sono maturato ieri e odio le discoteche. Odio le discoteche perchè non è il mio genere. Odio le discotehce perchè non ci ho mai concluso nulla. Odio le discoteche perchè sono un giocatore di basket e ho movimenti molto poco aggraziati. Odio le discoteche perchè non sono un giocatore di calcio e mi manca l'approccio sfrontato “Come ti chiami? Chiara? Che bel nome! Mia sorella si chiama Chiara! Posso darti un bacio?”. Odio le discoteche perchè non sono ancora andato in vacanza a Ibiza, dove avrei ascoltato, riascoltato e ballato tanta di quella musica elettronica fino ad imparare ad apprezzarla. Odio le discoteche perchè non sono ancora stato in Erasmus dove ti fai meno problemi su dove sei e che musica c'è, perchè ti diverti ovunque. Odio le discoteche perchè c'è troppa gente e non si può parlare.

Così passai il resto della mia tapas night a non ballare e a perdermi in quel locale stile neoclassico con parecchie stanze e corridoi fino ad impararne a memoria la planimetria. Ma allora era il tempo di bere la consumazione. E poi era il tempo di perdersi di nuovo, con tutta quella gente era quasi impossibile muoversi. Perdendomi vidi Mike che prendeva per mano questa o quella ragazza e iniziava a ballare col suo passo latino americano. Vidi Irons un po' in disparte a riflettere sul fatto che eravamo troppo piccoli per sperare di concludere qualcosa quella sera. Vidi Jeff e Stone ridere e prendere in giro un po' chiunque, specialmente Mike e Irons. Vidi Felix sempre circondato da ragazze. Merito suo se, vestiti male come possono essere cinque ragazzi in interrail, eravamo entrati, saltando pure la coda come fossimo VIP. Fu l'ultima volta che vidi Felix.

Poi ci ritrovammo tutti e cinque sui divanetti di fronte al bar, troppo stanchi per prendere anche solo un altro colpo. E capimmo che come primo giorno poteva bastare.

(Roberto)

29 mar 2011

- Il sonno della ragione genera mostri -


(Goya, Il sonno della ragione genera mostri, 1797)


“La linea è elegante” dissi io.
“Il chiaroscuro è voluminoso” fece eco Jeff.
“Beh... io direi che il volume è lineare” concluse Irons.

Il mio rapporto con l'arte, intesa come materia scolastica, non è mai stato un gran che. L'eccessiva sudorazione delle mani, che ha sicuramente condizionato in negativo la mia carriera cestistica, ha sempre rappresentato un grosso problema anche per le mie tavole da disegno. Alla voce “pulizia del foglio” non sono mai riuscito a prendere più di mezzo punto (su due) a causa di macchie di inchiostro ovunque. Aggiungiamo pure una totale mancanza di talento nel disegnare. La mia sufficienza era dovuta al fatto che chi ha i voti più alti della classe in tutte le materie non può avere il debito di arte. In terza liceo cambiai classe e persi il mio status di intoccabile “più bravo della classe”. Perchè c'era uno più bravo di me. Grazie al cielo, iniziò storia dell'arte. Il voto di storia dell'arte faceva media con quello di disegno e per me divenne molto più semplice arrivare al sei.

Le interrogazioni di storia dell'arte nella nostra classe funzionavano a parole chiave. C'era una serie di sostantivi “linea” “volume” “colore” “chiaroscuro” che doveva essere accoppiata con una serie di aggettivi “elegante” “ben definito”“importante” “lineare”. Più parole chiave usavi e più il tuo voto era alto. Se la prof ti chiedeva di commentare un quadro non importava se dicevi “c'è un tizio trapassato da una freccia” o “il quadro è dell'anno.... si trova nel museo... si chiama “San  Sebastiano” ...secondo la simbologia religiosa può essere rappresentato legato a una colonna e/o trafitto da una freccia”. Il tuo commento doveva essere: “la linea è elegante, il chiaroscuro è ben definito e il volume è importante”, altrimenti non c'erano speranze di prendere un bel voto. Il difficile stava nel capire quale aggettivo collegare di volta in volta ai sostantivi. Durante le spiegazioni di storia dell'arte io annotavo su un foglio quante volte la prof diceva “importante”, “ben definito” o “elegante” e scommettevo con il mio compagno di banco su quale dei tre termini avrebbe vinto la lezione del giorno.

Mi rendo conto di essere molto profano, ma questo spiega perchè io Jeff e Irons continuavamo a ripetere queste frasi davanti a ogni quadro del Museo del Prado, ridendo un sacco. Invece per Mike e Stone quella visita fu una lenta agonia davanti a opere di pittura rinascimentale.

Ci saremmo forse divertiti tutti molto di più se fossimo andati al Reina Sofia, dove al piano di arte moderna e contemporanea Mike si sarebbe potuto improvvisare critico e lasciare libero spazio alla sua divertente e schietta irriverenza. Penso sia anche un museo più vario e interessante. Vedere “Guernica” dal vivo mi lasciò senza parole, ma fu un'altra volta. Perchè noi non sapevamo dell'esistenza del Reina Sofia. Però io, Jeff e Irons ci ricordavamo il box su Francisco Goya e il Prado nel nostro libro di storia dell'arte e spingemmo per andare a visitare il museo.

Goya è uno dei pochi artisti che al liceo apprezzavo perchè si distingueva dagli altri di quel periodo (cioè in quel capitolo del libro) come pittore visionario e anticonformista. Amavo l'opera “Il sonno della ragione genera mostri”. Era il motivo principale per cui votai per il Museo del Prado. Volevo vederla. La cercai per tutto il museo e non la trovai neanche nella zona dedicata alle altre opere di Goya.

Credo sia esposta da un'altra parte.

18 mar 2011

- Interrail #11 -


Capitolo Undicesimo:
Tapas night, un assaggio della vita notturna madrileña

 
Quante volte vi sarà capitato di perdere una partita di basket per un punto? Ok ok...  quella volta ci siamo presentati in sei... il nostro uomo più forte era fuori per cinque falli... un altro si è fatto male... insomma, si può sempre trovare una buona scusa. Ma di fatto quando perdi di uno essere in sei o in dodici non conta, essere il giocatore più decisivo o l'ultimo dei panchinari meno che mai. Chiunque avrebbe potuto fare la differenza. Un punto è niente. Meno di un canestro. Questione di centimetri. Questioni di istanti durante il rilascio del pallone. La linea che separa una squadra esultante e una che esce dal campo a testa bassa è molto sottile. Inferno e paradiso. Se quel tiro fosse entrato ora non sarei muto e pensieroso, seduto nello spogliatoio. Se avessi intercettato quel passaggio... se avessi preso quel rimbalzo se...se... se fossimo entrati nel portone accanto la nostra vacanza sarebbe stata completamente diversa. Migliore o peggiore? So cosa mi perdo quando perdo una partita. Riguardo alla nostra storia, so solo com'è andata avanti. E so che tutto è partito da Felix.

Non prendetela come un'esagerazione. Non siamo rimasti tre settimane a Madrid a fare festa con lui. Né lui ha mollato il suo lavoro per seguirci e guidare il nostro viaggio. Non penso di avergli rivolto più di qualche insignificante frase di circostanza. Però è stato il nostro inizio. Con il senno di poi, cioè di un 24enne che è stato in Erasmus ad Alicante e passa quasi tutte le sue vacanze in Spagna, posso senz'altro dire che quelle tapas e quel flamenco facevano schifo. Ma con il senno di un 19enne alla sua prima volta a Madrid, 15 euro per cibo più musica e disco sembravano quanto di meglio il paese potesse offrire.

Se volevamo partecipare alla Tapas Night dovevamo ripresentarci nel primo ostello alle otto e mezza. Ciò significava avere poco meno di due ore di tempo per trovare il nostro ostello, non troppo vicino, sistemarsi, fare una doccia, prepararsi per la serata e ritornare. Un’impresa difficile per chiunque, ma oserei definire titanica per una fighetta come Jeff. Anche se devo ammettere che alla fine non aveva neanche troppo distacco da me. Però io e il mio compagno di stanza (che  ovviamente non era Jeff) litigammo parecchio con la serratura magnetica, tanto che chiedemmo un'altra chiave. Insomma  questo piccolo contrattempo annullò il canonico quarto d'ora di ritardo di Jeff, che si permise di sogghignare quando gli chiesi di imprestarmi il gel“sapevo che me lo avresti chiesto…”

“Bionda a ore 10”. “L'ho vista prima ancora che tu arrivassi, Eddie.” “Temo sia un po' grande per noi, Mike”. “Meglio! Vale doppio!” “Non mi riferivo solo all'età, ma al tipo che le siede accanto...” A tavola non eravamo più di una ventina e una gara a chi beveva più sangria tra me, Stone e Mike mi fece sembrare il cibo gradevole. Accanto a me e Mike c'era un australiano, il solito australiano che incontri in tutti gli ostelli e che sta facendo il giro dell'Europa da solo. Il solito australiano ultra socievole che affascina tutte le ragazze e che ti ruba la scena in tutti gli ostelli. Questo era un po' meno espansivo del solito, ma che potevo saperne io? Non avevo mai incontrato un australiano.

“Dove andate domani? Io sono indeciso tra Leeds e Parigi... poi tra una settimana tornerò a casa...” Leeds o Parigi? Per quanto ritenessi di un avere uno spirito viaggiatore, non riuscivo a concepire questa suo concetto di vacanza in Europa, girandola tutta in una volta. Per me l'Europa è la mia casa, anzi l'Italia è la mia casa e avevo appena cominciato a scoprire l'Europa, un progetto che sarebbe andato avanti per anni, vacanza dopo vacanza. Certo, se mai andrò in Australia, sicuramente pianificherò di vederla tutta in una sola volta. Queste poche chiacchiere aumentarono la mia voglia di viaggiare e mi convinsero che volevo andare a Lisbona, dove tutto costa meno e comunicare non è un problema perchè parlano tutti inglese, non come gli spagnoli. Vero è che per un italiano comunicare in Spagna non è un gran problema, visto che le lingue sono sostanzialmente identiche. Era la mia prima volta in Spagna, non me ne ero accorto e mi ostinavo a parlare inglese con tutti.

Lo spettacolo di flamenco, complice la qualità acustica che ti puoi aspettare dalla sala comune di un ostello, ci offrì più risate che buona musica, per la presenza sul palco di tre indimenticabili personaggi. Un chitarrista che pareva anche piuttosto bravo, ma assomigliava troppo a uno dei messicani della pubblicità dell'Estathè, una cantante con un fisico e i movimenti di un tenore lirico e il ballerino Paquito, che divenne inspiegabilmente il nostro idolo per tutta la serata. Dopo un po', tuttavia, il nostro entusiasmo calò drasticamente. Felix lo notò e ci rassicurò che era quasi finito, poi aggiunse un “Ready to dance?”. Lo spettacolo durò almeno altri tre quarti d’ora. Ma poi finalmente uscimmo, verso la discoteca. Pronti a ballare? In realtà io per nulla...

(Roberto)

 
D'You Know What I Mean - Oasis by icebreath

3 mar 2011

- Interrail #10 -

Capitolo Decimo:
Felix

Giovedì 14 Luglio 2005 ore 18, Gran Vìa, Madrid.

Cinque zaini escono dalla metropolitana. Sotto di loro cinque ragazzi salgono correndo la ripidissima e lunghissima scalinata, dopo aver vagato in un dedalo sotterraneo di corridoi che era pura fantascienza: una dozzina di linee per un centinaio di fermate. Forse quella di Madrid non sarà la più grande del mondo, ma la metropolitana della nostra città ha una linea sola. E questo era il termine di paragone. Ad essere sinceri la metropolitana a casa non l'ho mai presa. A Madrid a quell'ora era affollatissima. Persone ammassate sulle scale mobili. Un atto routinario per gli abitanti della capitale europea. Un momento di riposo dopo una giornata di lavoro. Da un lato loro e la loro noiosissima quotidianità. Dall'altro noi, entusiasmati più che mai, desiderosi di uscire allo scoperto e di assaporare finalmente qualcosa di quel posto. Quel posto che nelle nostri menti aveva assunto le più svariate forme e rappresentava l'inizio di una serie infinita di avventure. Noi correvamo su per le scale, facendo i gradini a due a due, come dei bambini di otto anni.

Il sole era ancora alto in cielo e faceva un caldo terribile. Sembrava l'ora di pranzo e invece erano le sei e mezza. Troppo tardi. Colpa del tempo perso a Barajas. Un po' per girare a caso tra i concessionari per cercare di affittare invano una macchina. Un po' per aspettare i nostri bagagli, arrivati a pezzi. Il mio compagno di dormite si era staccato dallo zaino e, non vedendolo arrivare, iniziavo a preoccuparmi. Ad Irons mancava addirittura tutta la tenda. Mike diceva “Si vede che non hai mai visto come caricano i bagagli sulle navi, altrimenti avresti legato meglio il sacco a pelo, Eddie...ma chi se ne frega... guarda quella là!”.

Arrivati a Gran Vìa entrammo senza pensarci troppo nel primo edificio con insegna “Hostal”, qualsiasi cosa fosse. Una coda interminabile alla reception non faceva ben sperare. Aspettiamo e speriamo, andiamo in giro a caso (con sto caldo e sti zaini) o iniziamo a chiamare altri ostelli da qua? L'entusiasmo di cinque minuti prima era finito e ci rendemmo conto di essere piuttosto stanchi. Mentre elaboravamo un piano d'attacco fummo avvicinati da Felix. Un tizio che mi ricordava un po' Cristiano Ronaldo e un po' il nostro amico Paulie. Insomma un calciatore. Sia chiaro che detto da me, cresciuto giocando a pallacanestro, non è un gran complimento, per quanto voglia bene a Mike, Jeff ed Irons. Per quanto voglia bene allo stesso Paulie, nonostante sia scomparso subito dopo il suo orale di maturità senza darmi la maglietta di Stone “Io ho finito...e voi?” da indossare dopo l'esame e sfoggiare davanti a professori e compagni. Maglietta che indossarono tutti, tranne me. Maglietta che Stone non ha mai più rivisto.

Un  calciatore per me è una fighetta, ha una cura maniacale del proprio aspetto, è un po' rissoso e un po' tamarro, preferisce fare gol a passare la palla, vuole sempre la copertina, non si distingue per intelligenza. Un calciatore è sempre facilmente circondato da ragazze e quindi un po' li invidio anche. Ok... i miei amici non sono affatto così, per nulla, e Paulie fa addirittura ingegneria.

Felix, nonostante il suo aspetto, sembrava simpatico. Era una specie di animatore e in tutto il casino che c’era in quella reception fu l’unico a cagarci. Penso sia anche l’unico spagnolo che in tutta la nostra vacanza si sforzò di parlare italiano. Se la cavava bene con l’inglese, qualità rara in uno spagnolo e comincio a pensare che non fosse affatto spagnolo. “Italiani? Pizza, spaghetti molto buono”. Noi conoscevamo bene lo stereotipo, continuavamo a ripetercelo. “Sì, italiani: pizza, spaghetti, mandolino, mafia!”. Risate generali.

Felix ci ha salvato. Se non fosse per lui probabilmente quella notte avremmo dormito in qualche piazza, cosa non gradita a nessuno. Ci regalò una cartina decente, ci indicò un ostello vicino dove avremmo trovato posto, ci permise di rimanere lì con gli zaini mentre andavamo a verificare, ci invitò alla “Tapas night”, una cena a base di piatti tipici, spettacolo di flamenco e ingresso in discoteca a soli 15 euro. Poteva anche essere una fregatura ma perché non fidarsi di quel ragazzo sorridente che ispirava simpatia a tutti?

(Roberto)

14 feb 2011

- Interrail #9 -

Capitolo Nono:
La nostra guida



Jeff mi ha appena ricordato che non ho presentato Boom, il sesto componente della nostra band. Lo conobbi a una pizza di compleanno in terza liceo. Era seduto accanto a me e scoprii che ascoltava la mia stessa musica. Intendo gli stessi cd. Questo perché andava a scuola nella classe accanto a quella di Stone e li scambiava con lui (cioè con i miei). Stone non c'entrava nulla quella sera. Nella mia città una scena del genere non è poi così strana. Per quanto sia abbastanza grande, esiste una legge non scritta che dice che è impossibile non avere almeno un paio di conoscenze in comune quando incontri una nuova persona. Boom è sempre entusiasta di qualsiasi proposta gli fai, ma è tendenzialmente inaffidabile. Se vuoi che venga devi dirglielo all'ultimo, altrimenti se ne dimentica. In questo caso, avendo organizzato tutto in tre giorni a cavallo dei nostri orali, non poteva dimenticarsene. Era ovviamente entusiasta. Però alla fine decise di lavorare. C'è chi parte subito dopo l'esame e passa l'estate della maturità in giro per l'Europa. E c'è chi la passa a lavorare perché ha deciso di trasferirsi a settembre.

“Parti con la cosa più triste che ti viene in mente e ti conquisterai la simpatia dei lettori. Dopo di che sarà una passeggiata, credi a me.” Questo è il consiglio di Denise a Hollis Mason. “Sotto il cappuccio” inizia con la Cavalcata delle Valchirie ed è un ricordo triste per Hollis Mason. Ma questa è decisamente un'altra storia.  Beh… non credo che la storia dell'estate di Boom riesca ad entrare tra le cinque cose più tristi che mi possono venire in mente (anche perché temo che Boom abbia lavorato alla maniera di Mike). E se vogliamo essere pedanti questo non è neanche l’inizio. Però...

Punto primo. Non è triste voler scappare dalla città in cui sei nato e che ti ha cresciuto? Boom e Alex subito dopo la maturità. Io un paio di anni dopo. Detto con parole di Bob Dylan, la scelta di andarsene deriva dalla consapevolezza che: “Ci deve essere una sorta di via fuori da qua”. Grande canzone, anche se la mia versione preferita è quella, quasi irriconoscibile, della Dave Matthews Band. Ci deve essere una via fuori da una città in cui ogni volta che incontri una persona nuova scopri di averne già sentito parlare da qualcun altro. Ci deve essere una via fuori da una città per un ragazzo che a 19 anni sostiene di averla già vissuta tutta. Ci deve essere una via fuori da una città che forse non ha tutti i difetti della Dublino di James Joyce, ma è altrettanto paralizzata. Una città piena di tante Eveline. Una città in cui le persone vivono prigioniere della loro routine. Non sono in molti a pensarla come me. Non sono in molti che sono partiti. Sono pochissimi quelli che sono tornati. Non sto assolutamente rinnegando le mie origini. E' sempre un piacere tornare a casa, ma, a volte, è anche un sollievo riandarsene. Sfide nuove e stimolanti attendono il ragazzo che vuole maturare, alla ricerca dell'indipendenza. Sfide nuove attendevano Boom e Alex. La sfida che attendeva noi era “ma dove dormiremo stanotte a Madrid?”

Punto secondo. Non è forse vero che un viaggio teoricamente inizia quando uno legge la guida? A pagina 56 è descritto quel luogo. A pagina 8 c'è quella foto. Ci si immagina in mezzo a fotografie scattate da altri. Si pianifica l'itinerario seguendo le indicazioni e i suggerimenti. Si leggono le informazioni su ostelli, ristoranti, cucina, tradizioni... E se io ho iniziato a leggere la guida durante il volo Fiumicino - Barajas, c’è qualche problema? Se c’è, io non lo vedo affatto.

Ecco cosa diceva. “Barcellona, Madrid e Siviglia hanno la reputazione peggiore per quanto riguarda furti e scippi... possono avvenire nelle zone più frequentate dai turisti... alcuni ladri operano in gruppo e non si fanno scrupolo di agire in pieno giorno nei luoghi più affollati… purtroppo la polizia non è molto presente e in genere mostra un atteggiamento piuttosto indifferente… in spiaggia qualsiasi oggetto potrebbe sparire in un attimo non appena voltate le spalle… i ladri conoscono molti modi per sottrarvi il portafoglio... c’è quella della soluzione lattiginosa gettata sul malcapitato da un balcone: immediatamente si fa avanti qualcuno per pulire quello che sembra l’escremento di un piccione. In genere la vittima, seccata per lo spiacevole incidente e alle prese con i fazzoletti di carta, non si rende conto che il contenuto delle proprie tasche sta prendendo il volo…  non fermatevi lungo la carreggiata se qualcuno da una macchina che vi passa accanto vi fa segno che la vostra automobile ha qualcosa che non va: può succedere infatti che, mentre voi siete intenti a ispezionare la parte posteriore del veicolo insieme alla persona che vi ha avvertito, un suo complice vi derubi di quello che avete nell’abitacolo… Ci sono stati casi di gomme forate nelle piazzole di sosta da persone che poi hanno seguito e “aiutato” la vittima che si era fermata a cambiare la ruota… sono prese di mira soprattutto le auto noleggiate… nelle zone centrali di alcune città ci sono molte persone che svolgono la “professione” di parcheggiatori abusivi; se non riuscite a evitarli, pagate loro qualcosa per scongiurare il pericolo che vi graffino o danneggino l’automobile non appena ve ne siete andati…”

Ma in che razza di posto stavamo andando?

kriticadellaragione.blogspot.com(Roberto)

Jimi Hendrix - All Along The Watchtower by Asnas

9 feb 2011

- Interrail #8 -

Capitolo Ottavo:
Ma perchè per andare a Madrid ti allontani?





Come al solito sono in ritardo. Forse perché dovevo comprarmi il gel da 10 euro. Come al solito Eddie si incazzerà e dirà “Sei proprio una fighetta! Ma è mai possibile che senza gel non esci neanche di casa! Tanto guarda che non becchi lo stesso…”. “Tanto lo so che già stasera te lo dovrò imprestare il MIO gel!”. Hmmmm… potrei rispondergli così… anzi…no… non gli dico niente del gel così non si arrabbia neanche…

Quella mattina avevo un gran sonno perché era prestissimo… negli ultimi tre giorni avevo dormito pochissimo e la sera prima avevo la febbre. Su due macchine la mia famiglia ne occupava una.
Ovviamente arriviamo all’aeroporto prima noi degli altri perché possiamo sfoderare tutti i 105 Hp della 307. A fare il check-in c’era una gran patata. Mio padre stava filmando la nostra partenza e viene scambiato per un terrorista. Eddie dice che è tardi… bisogna sbrigarsi coi saluti. Come mio solito saluto bene solo mia nonna… mia madre si arrabbia… e allora io do un bacio alla mamma di Eddie e viceversa. Perché questo? Perché mio padre s’era portato la telecamera? Perché era venuta anche mia nonna? Non lo so e non voglio chiedere al mio cervello uno sforzo troppo grande. Ecco… infatti ho perso il filo... non mi ricordo se è qua che hanno perquisito Stone.

Continuiamo verso la porta d’imbarco… ma prima io e Mike facciamo un giro nel centro commerciale… giusto per fare un po’ di girl watching e infatti troviamo subito due fighe della TV accompagnate da un tipo brizzolato... ma che cosa avrà più di noi? Il portafoglio pieno? Decolliamo… io sono seduto vicino ad Irons e, forse, colto dall’emozione per la mia prima volta in aereo, perdo un’occasione per stare zitto “Dave… quanto sarà lunga la pista? 100 Km?”. All’arrivo a Fiumicino ne perdo un’altra “Ehi ragazzi siamo a Roma! Potremmo andare a trovareAlex o potrebbe venire lui qua! ” “Ehm… Jeff… guarda che Roma è un po’ più grande della nostra città… e poi ripartiamo tra meno di un’ora”. Come al solito non sapevo nulla sull’organizzazione del viaggio. Mi avessero portato in Norvegia io non me ne sarei accorto e li avrei seguiti senza problemi. Mi piacerebbe raccontare tutte le emozioni di quel viaggio, cosa si prova a stare fra le nuvole… etc… ma i miei pochi neuroni sono già andati in stand-by… purtroppo io non ho molta memoria… non sono Eddie.

Però sicuramente quella figa con il cappellino alla Michael Jackson che c'era a Fiumicino non la scorderò mai…
P.S. Ma BOOM dov’era?

(punto di vista di Jeff)

Giovedì 14 Luglio.
Quel demente di Mike. “Li tengo io i biglietti non vi preoccupate, l’aereo è alle 11.15”. Era alle 10.55. Ma questo lo abbiamo scoperto solo quando eravamo già in viaggio verso l’aeroporto, quindi già in ritardo. Perciò abbiamo dovuto fare tutto in fretta. Ovviamente, grazie alla guida spericolata di mia madre e alla potenza della nostra macchina superiore siamo arrivati prima noi all’aeroporto.
I nostri movimenti erano alquanto goffi. Era la prima volta che prendevamo confidenza con i nostri cinque inseparabili compagni di viaggio: zaini di svariati colori e dal peso che oscillava tra i 14 e i 22 chili. In realtà... tre zaini erano identici, comprati il giorno prima... Quello di Jeff era inaspettatamente il più leggero. Io avevo ipotizzato che un calciatore fighetta come lui si sarebbe portato dietro tutto il guardaroba. E invece no. Beh… bisogna aggiungere che lui non portava la tenda, perché l’aveva rifilata tutta ad Irons. Non solo eravamo in ritardo, ma abbiamo avuto ripetuti contatti con la polizia. Il primo quando volevano arrestare il padre di Jeff perché stava filmando con la telecamera la partenza del figlio. Il secondo quando hanno rimandato Stone al check-in perché nello zainetto che si stava portando come bagaglio a mano c’erano i picchetti della tenda. Poi per non farci perdere altro tempo lo hanno perquisito dalla testa ai piedi. Mr Marrone Stone, maturato una settimana prima di noi, è un tipo che si abbronza facilmente. Con quel colore, dopo una sola settimana di mare, e uno zaino enorme non ispirò simpatia e fiducia ai poliziotti.

Appena arrivati a Fiumicino Jeff iniziò con “Siamo a Roma andiamo a trovare Alex”. “Jeff ma Roma è immensa, fra meno di un’ora dobbiamo prendere il prossimo aereo e Alex a quest’ora (era l’una) starà dormendo”. “Ah. Hai ragione Eddie”.
Alex è il mio ex-compagno di banco che, innamoratosi di filosofia e storia dell’arte a marzo della quinta liceo decise di andare a fare un’università dove potesse studiarne il più possibile. Anche perché fino ad allora non le aveva mai studiate. Tutto quello che c'era da vivere a casa, compresi i venerdì sera universitari che lo rendevano un mezzo zombie al sabato mattina a scuola, li aveva vissuti. Quindi finì a Roma. Non stava dormendo quando l’ho chiamato.

Guarda quella!” “Hmmmm. non male... guarda invece quella là!” “Ma che figa è!” “MAMMA MIA!”. ”Hai visto Eddie?”. Questi erano i discorsi altamente intellettuali dei miei amici, ma io ero al telefono e mi sono perso tutto…
(punto di vista di Eddie)



Prooontoo. Ah. Ciao. Sei a Roma? No, non stavo dormendo... Sì dì pure a Jeff di non preoccuparsi e che vengo subito all’aeroporto… entro un’ora poi… Ma perché per andare a Madrid ti allontani? Vabbè…Non ti innamorare di troppe spagnole, fattele e basta ”.
kriticadellaragione.blogspot.com
(Roberto)

Lighthouse family - High by nshaporin

1 feb 2011

- A cosa serve il latino? -


Chi non se lo è mai chiesto durante il liceo? Cinque anni dopo, me lo chiedo ancora. Si dice che: “aiuta a ragionare”, “apre la mente”, “fa parte della nostra cultura”, “insegna il significato delle parole”. Wow… perché a me in cinque anni di liceo mi sembra di aver passato i primi due a imparare regole grammaticali di una lingua che non parlerò mai e gli ultimi tre a studiare la storia dell’impero romano e a imparare a memoria la traduzione di testi di autori latini per dimostrare che la sapevo fare a vista. In un liceo scientifico si fa più latino che matematica. Perché non sostituire le ore di latino con materie più utili?

Perché insegnare la grammatica latina a chi non sa quella italiana? Per non parlare dell’inglese. Siamo uno dei pochi paesi europei che doppiano tutti i film e siamo uno dei popoli che parla peggio l’inglese. La nostra scuola di doppiatori è fantastica. Sono bravissimi. La voce originale di Homer Simpson è nettamente peggiore di quella di Tonino Accolla. Però in Danimarca, Svezia, Germania, Austria tutti i ragazzi parlano inglese perfettamente e invece noi quando andiamo all’estero ci dobbiamo vergognare della nostra pronuncia. “Il mio inglese fa schifo” “No, non sei male per essere Italiano”. Questo è quello che mi sento dire. Tante grazie per il complimento. Però so la grammatica latina, tutte e cinque le declinazioni. Mi servirà un sacco quando lavorerò all’estero. Grazie al latino conosco l’etimologia di molte parole. So che l’aggettivo “bellico” deriva da “bella”, cioè “guerra”. E “blog” da che vocabolo latino deriva? Trattasi dell’abbreviazione dell’inglese “Web log”. La lingua, persino quella italiana, è in continua evoluzione. Le parole derivanti da una lingua morta sono destinate a scomparire, le parole inglesi sono destinate ad aumentare. Quindi perché non insegnare un po’ meglio l’inglese? Perché non sostituire le ore di latino con ore di conversazione inglese?

Perché non sostituire la letteratura latina con la materia “attualità”? Perché devo sapere cosa è successo duemila anni fa e non so cosa è successo ieri? “Domani sarai interrogato sul contenuto del giornale di oggi”, non su cosa succedeva ai tempi di Diocleziano. Le notizie di attualità sono ormai reperibili gratuitamente su Internet, non bisognerà più spendere 50 euro per un libro di 500 pagine destinato a essere poi rivenduto o  bruciato nel falò post esame di maturità. E’ cultura sapere la storia romana e non sapere chi sono i ministri italiani? E’ cultura sapere tutto delle guerre puniche e non sapere nulla della guerra in Iraq? E’ cultura sapere dov’è nato Virgilio e non sapere dove si trova Islamabad?

Il latino apre la mente e aiuta a ragionare. Il latino, in realtà, porta gli studenti a inventare nuovi modi per copiare. La versione di latino è il test perfetto per ogni nuova tecnica. E un buon compagno di banco fa sì che non ci si debba nemmeno ingegnare troppo. Oppure un buon vocabolario. Un mattone di 3 kili e 60 euro. Non ho mai preso meno di 6 e mezzo perchè molto spesso trovavo le frasi più difficili sul vocabolario. Perché non sostituire l’ora di latino con un’ora di logica? Difficile da insegnare? Un qualunque laureato in matematica dovrebbe saper risolvere semplici giochi di logica. E anche saperli insegnare. Ce ne sono migliaia. E quelli sì che aiutano a ragionare. “Per la prossima settimana mi fate 4 Sudoku”, non 4 versioni di latino. Personalmente odio il Sudoku perché è un passatempo molto meccanico e noioso. Esattamente come una versione di latino. Solo che di un Sudoku non posso facilmente trovare la traduzione su Internet. 
Per ora. kriticadellaragione.blogspot.com

(Roberto)

25 gen 2011

- Interrail #7 -


Capitolo Settimo:
(Primi e) ultimi preparativi




Mercoledì 13 Luglio 2005. Ore 10,15.
Finalmente eravamo tutti maturi. Ci rendemmo quindi conto che avevamo meno di 24 ore per
preparare un viaggio di tre settimane di cui l'unica certezza erano i voli di andata e ritorno per
Madrid, pagati a peso d'oro al CTS. 

Non è economicamente saggio comprare un volo due giorni prima della partenza, forse hanno ragione i nostri altri compagni di classe che prenotano le vacanze estive a Dicembre. Per affrontare meglio quello che ci aspettava io, Stone e Mike festeggiammo bevendoci tutta la bottiglia di spumante alle 10.30 di mattina proprio davanti alla mia scuola. 
Sì, eravamo proprio maturi.

Pochi frammenti sono rimasti di quella frenetica giornata ricca di adrenalina, ricca di pensieri su tutto quello che era appena terminato e su tutto quello che stava per iniziare.

Ho parecchia confusione e non riesco a ricordare gli avvenimenti secondo un esatto ordine cronologico. 
Mi rivedo mentre tiro fuori il portafoglio per prendere i soldi e, con tutta la roba inutile che c’era là dentro, proprio la carta socio CTS mi doveva cadere nel tombino. 
Ricordo le inutili code per fare l'inutile modello E111, copertura sanitaria all'estero imposta dai nostri genitori. 
La telefonata a mia madre per avere l'approvazione ad affittare la macchina. Sapeste quanto poteva essere felice di sapere che andavamo in giro in macchina con itinerario da definire e una sola persona legalmente in grado di guidarla (Mike), specie quando mio fratello aveva fatto un incidente in scooter tre giorni prima. 
Jeff, come tutti i calciatori star perennemente in ritardo, che ci raggiunge fuori dalla scuola, giusto quando abbiamo appena lasciato i resti della nostra bevuta sul motorino di un'amica. 
Jeff che non sa scegliere lo zaino da comprare. Io che prima di iniziare a fare lo zaino penso “mi porto il meno possibile”. 
All’agenzia che ci dicono che per rifare la carta socio CTS bisogna prima presentarsi con la denuncia e poi pagare qualcosa come 28 euro. Fanculo, se la tengano.
Stone che arriva allo sportello per fare l’E111, senza sapere cosa sia, e dice, indicandomi, “devo fare quello che ha appena fatto lui”. Io e Mike che, contagiati da Jeff, perdiamo le nostre poche certezze sullo zaino più adatto. La cena “Pizza finché non dici basta” con Phil in cui non facciamo una prestazione degna di nota. Stone che mi consegna la guida del Portogallo, comprata due mesi prima, dicendomi “Forse è meglio se la tieni tu, io non l’ho neanche aperta”. 
Il momento in cui in agenzia scopriamo che con le nostre carte di credito prepagate non possiamo affittare neanche un cammello in Marocco. 
Mio fratello che si presenta con il collare al negozio per consigliare a tutti e tre lo zaino.
Jeff che mi manda il messaggio “Eddie..stasera non vengo a mangiare la pizza… ho 38 di febbre”.
Io che ho davanti a me un mucchio di roba sul letto che dovrebbe andare nello zaino, già strapieno.
Io che decido di non portare musica mia, quindi niente Pearl Jam, come se questo potesse alleggerirmi lo zaino. 
Noi che fuori dalla pizzeria salutiamo Paulie, insultandolo perché non si era fatto vedere negli ultimi giorni e non mi aveva portato la maglietta di Stone “Io ho finito...e voi?” da mettere subito dopo l'orale.
Stone che intuisce che non avrebbe mai più rivisto la sua maglietta.
Il momento in cui scopriamo che Mike non può fare l’E111 perché per motivi strani è diventato residente in una città che dista a 500km dalla nostra. Chi se ne frega di quell'inutile documento. Io e Stone che cerchiamo di mettere un po’ della mia musica nuova (Pearl Jam) nel suo iPod, ma non ci riusciamo perché i cavi sono mezzi rotti. Fanculo anche alla mia musica.
Io e Stone che ascoltando la registrazione del mio orale scopriamo che ho preso 35 e 92 in tutto. 
Noi che diciamo “dopo la vacanza faremo di nuovo pizza finchè non dici basta e lo sbanchiamo”. 
Io che peso il mio zaino: 18 chili con sacco a pelo.
Noi quattro che pranziamo a casa di Stone alle tre di pomeriggio assieme ai nostri tre nuovi zaini uguali e a quello di Stone già riempito con i suoi 22 chili di roba.
Irons che non si fa vedere per tutto il giorno.
kriticadellaragione.blogspot.com
(Roberto)


Pink Floyd - Time by Itubaina Radio Retro