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15 mag 2013

- La parte americana della famiglia -




Sono passati dieci anni dall’ultima volta che ci siamo visti. Pressoche’ nulli i contatti e-mail. Assolutamente nullo qualsiasi altro tipo di comunicazione, anche se la tecnologia lo consentirebbe. Ma siamo fatti cosi’.

Piu’ di un anno fa la notifica: “We are going to be in Tuscany in May 2013. Don’t make plans for that week because you will have to come to visit us.” Make plans? Con un anno di anticipo? Qui si vive alla giornata! Comunque date scolpite nel calendario.
May 2013 e’ arrivato ed eccoci qui. Dieci anni dopo.

“You used to pray before starting the meal. Don’t you do that anymore?” “Naaa. Things have changed”
“What places do you want to visit next?” “India attracts me a lot and I still didn’t have the chance to visit it. I also have in mind to take a longer break sooner or later and make a trip around the World” “Make sure you do that before you have a family”

The family! I bimbi da uno sono diventati quattro. E finalmente viene piu’ facile associare ad un nome una faccia, ed anche una personalita’.

Quello che ci sorprende e’ la loro educazione. Loro non vanno a scuola ma studiano a casa con i genitori [“Schools are stressing too much competition and focus too much on grades instead on making sure that kids actually learn”]. A fine anno fanno un test che certifichi il passaggio di classe. I test li tiene la mamma a casa, nel caso un giorno qualcuno chiedera’ di vederli.
I bambini percepiscono una paghetta settimanale che amministrano attraverso un conto: 50 centesimi moltiplicati per il loro anno di eta’ alla settimana, quindi un dollaro e mezzo la piu’ piccola e 5 il piu’ grande perche’ “it’s better if they start making mistakes with small amounts”. Il conto fino ad un ammontare di 500$ da’ un interesse del 6%, per incentivare il risparmio.

“How old were you when you have done your exchange in US?” “Seventeen” “Eli, would you like to go to study abroad when you grow older?” “Mmm, no” “You are ten, maybe you’ll change your mind. We’ll see”

Tra bottiglie di vino e banchetti generosi, tre giorni sono volati. “It’s picture time, we do not want to forget this re-union. Do we?”. “Kids, see you in ten years” [“By that time Eli will be 20 and Hillary 14, it is going to be a fun”]. Abbracci. Lacrime. Cala in sipario.

See you in ten years, family.
O magari, volendo, anche un po’ prima. We’ll see.

16 dic 2010

- Sei nata dal mio cuore -


Era il giorno in cui mi toccava raccontare la favola ai bimbi di tre anni che fanno il riposino pomeridiano.
La scelta era tra Biancaneve o Cenerentola.   
Scelsero la prima e cominciai con il solito:”c’era una volta una bambina che la mamma…"
Non finii la frase Elettra si mise a sedere sulla brandina e, con voce squillante, mi raccontò la sua “storia”.

Lo sai che quando io ero piccola piccola ero in ospedale e piangevo..piangevo..piangevo.
La mia mamma a casa voleva una bambina e piangeva..piangeva..piangeva.
Allora mi è venuta a prendere così siamo state tutte e due felici.
Lo sai che io non sono nata dalla  pancia della mia mamma,  lei ha detto che sono nata dal suo cuore!

 Dolcissima storia di un incontro fantastico!
A te piccola Elettra l’augurio di raccontare sempre con la stessa gioia e serenità, la magia della tua nascita.kriticadellaragione.blogspot.com

 (Maca)


Limahl - Never Ending Story by cecilen


15 dic 2010

- Come era bello da bambina -



Il mio cappotto blu della domenica mattina. La sua maglietta a fiori colorati per i pomeriggi estivi a far girare una collana di foglie.

La mia bici rossa, la sua bici rosa.

La sua spider di Barbie rossa e il mio camper di Barbie rosa.

Le mie tre ceste di giochi, la sua cameretta. La sua mansarda e la mia stanza blu.

Aveva il mio stesso nome e qualche mese in più di vita. Lei mora e dalla carnagione scura, i miei boccoli biondi contornavano invece il mio viso chiaro.

Un armadio, nel sottoscala, è scrigno di vecchie scatole di scarpe che, una sull’altra, anno dopo anno, custodiscono fedeli i miei giorni di bambina. Natale, Pasqua e compleanno, il primo giorno di scuola e ogni festa di fine anno. Lei, in queste foto, trova sempre il suo posto. Per tanto tempo siamo state inseparabili.

Stamattina sono ripassa davanti a quella palazzina che per quindici anni è stata il nostro castello.

L’ingresso maestoso, in fondo ad una stradina che in pochi metri disegnava un lungo sentiero nel bosco, due file di siepe. Le scale si arrampicavano fino al terzo piano, tortuose ed infinite. Su e giù, di corsa, a volte di nascosto. Il giardino verde e puntellato da alberi secolari di cui la cima si perdeva tra le nuvole, erano nascondiglio, ostacolo, percorso, mercato di fiori e foglie e casa del nostro amico Pettirosso. Da un terrazzo all’altro, il pallone sempre più in alto, lei dall’alto toccava le fronde, io dal basso col naso in su davo forma alle nuvole. Un giorno abbiamo dotato il castello di un ascensore di servizio, per le Barbie, un filo ed un secchiello. E poi i passaggi segreti fino al garage dove ci aspettavano impazienti i nostri cavalli, bici e pattini. E via assieme al vento nel nostro velodromo, il parcheggio. E poi le capriole sulle altalene dei giardinetti, saltavamo come giullari di corte. Ridevamo alla paura fino a convincerci della missione segreta in quella casa abbandonata, che tanto impauriva quanto faceva tremare di incosciente curiosità.

Ripenso con nostalgia a quando insieme davamo respiro e voce alle Barbie, il nostro gioco preferito. Inventavamo storie con parole di cui l’adolescenza si è vergognata e che ora forse ho dimenticato, cantavamo musiche sentite per caso in qualche trasmissione televisiva e le intrecciavamo con le melodie natalizie delle cassette di dicembre e non ci domandavamo perché le Barbie avessero degli altorilievi di fiorellini tra le gambe.

Forse sono passati dieci anni da quando ho salutato Francesca l’ultima volta, inconscia di dire addio alla mia infanzia. Una stretta al cuore ora, ripensandoci.

Ora non so dove sia né se mai ripensa al Condominio Emma.

Io, però, posso dire che era bello quando ero bambina

(Francesca)




Ivana Spagna - Il cerchio della vita by Un Kritico

2 dic 2010

- Kim & Roberto -

(Ernst Haas - Blurred figures running, 1955)


Kim è uno scricciolo di bambino con un linguaggio molto forbito, segnato nel fisico da una rara malattia che gli impedisce anche la crescita dei capelli. A scuola porta un cappello da baseball che non toglie mai.

Il suo amico si chiama Roberto, uno che ci tiene al suo fascino, la mattina ama mettere una punta di gel sui  capelli, per poi accarezzarseli tutto compiaciuto. Roberto è anche quello che dice “ciò che è mio è mio e ciò che è tuo è pure mio” difficile fargli condividere un gioco, più facile che “involontariamente” ne scivoli uno non suo in tasca.

Roberto con Kim è diverso, nei tre anni di scuola che passano insieme, si stabilisce tra loro un rapporto di amicizia fatto di gesti spontanei, sinceri, genuini.
La prima cosa che Roberto fa, senza che nessuno  glielo chieda, è indossare per tutto il giorno un cappello simile a quello del suo amico, quindi scatta la condivisione dei giochi, poi lo  scambio, infine il regalo.
Kim e Roberto amano parlare, si raccontano una sacco di cose, sono uniti dall’amore verso i gormiti e lo sport.

Kim è consapevole della sua malattia e risponde seccatamene a chi chiede notizie dei suoi capelli.

Una mattina tutti i bambini sono seduti in cerchio, uno fa notare a Kim due fili esili e biondi che escono dal suo cappello, Kim guarda Roberto e  chiede “mi sono cresciuti ?”
Roberto si alza, solleva il cappello del suo amico, gli accarezza la testa, che scruta con grande attenzione, quindi rimettendogli il cappello, risponde “i capelli non ci sono ancora, ma stai tranquillo tra poco ti cresceranno!


Ancora avverto l’emozione di quel gesto e di quelle parole e mi domando perché questa naturalezza, tipica del mondo infantile, si trasformi spesso, nel mondo degli adulti, in un sentimento di falsa pietà.
kriticadellaragione.blogspot.com
 (Maca)


Sigur ros-gong by Sigur Rós

19 nov 2010

- Ciò che un bambino sa dire -

(S. Salgado)

Ho la fortuna di fare il lavoro che ho sempre desiderato; mi piace condividere con la mia famiglia gli episodi che caratterizzano la mia giornata lavorativa, così  alcuni di loro si sono convinti che il mio non è un vero lavoro, ma un divertimento….

Può darsi...
Dipende dall’ importanza che i bambini rivestono in ognuno di noi, perché il mio lavoro è quello di stare con le persone pìù speciali della terra: i bambini. 

Nessuno sa stupirti come loro, sanno essere grandi nella loro piccola età, sanno addolcirti la giornata con un semplice sorriso, sono capaci di farti sentire piccola per la profondità di ciò che dicono.

Ricordo un giorno che parlando della guerra,li rassicuravo dicendo che ciò accadeva in paesi lontani noi potevamo ritenerci fortunati perché non vivevamo  questa condizione…un bambino di 5 anni mi colpì con queste parole: “io la guerra ce l’ho in casa, la mamma e il papà litigano sempre”.

I bambini con due parole sanno raccontarti il loro mondo, che troppo spesso è offuscato dall’egoismo degli adulti.
kriticadellaragione.blogspot.com
(Maca) 


MR. BROWN FOR HAITI-MR. BROWN IS BACK IN TOWN ENGLISH VERSION by Un Kritico

8 nov 2010

- Autunno -



"Tommaso, guarda che bella la Serra di questi colori!"
"E' l'autunno!"

Volevo spiegarglielo io, ma lui lo sapeva già.
Chissà come mai i bambini sanno sempre le cose essenziali!?

(Mattia)


19 set 2010

- Cosa vuoi fare da grande? -


E poi un giorno come tanti sei diventato grande: te lo dice il calendario e quei numeri che, inesorabili, ti raccontano le scadenze della tua vita. Giorno dopo giorno.
C’è ancora tempo, spesso mi dico. C’è ancora tempo per provare, osservare, scoprire. Ma soprattutto vivo della convinzione che ci sia ancora tempo per decidere. Decidere cosa fare, dove andare, cosa dire e cosa ascoltare. Decidere come vivere.
Il liceo è iniziato dieci anni fa, con i sogni fumosi di una ragazzina e la speranza che gli anni di studio dessero forma e sostanza a questo fumo inconsistente che ispirava la ricerca del mio futuro.
Ma i sogni sono rimasti, senza forma descrivono con le parole delle emozioni la risposta  a: “Cosa vuoi fare da grande?”, una domanda che con sconfortante costanza racchiude in sé la sterile ed artificiosa curiosità di un vuoto senso di solidarietà. L’ho  ascoltata sognatrice al liceo, la ascolto oggi con forse ingiustificata irrequietezza. Oggi ti chiamano grande, ma quand’è che sarò abbastanza grande per poter affrontare quella domanda possedendo veramente la mia risposta e lasciare alla superficialità la scelta di massa?
Nel frattempo i doveri prendono le mie decisioni e mi impongono quella vita che non riflette affatto il prato di colori indefiniti, un po’ sfocati e leggermente sfumati verso l’infinito che in qualche modo descrivono nella sua completezza il mio sogno di vita.
Sfuggente e sfuggevole, inconsistente e apparentemente malleabile, è un insieme di forme senza forma. Di idee, progetti e pensieri. Di ricordi e racconti, forse fiabe.
Ci giro attorno, lo guardo e lo osservo. Gli cammino affianco e lo rincorro. Spesso lo corteggio. Lo accarezzo e mi avvicino, ma scivola via appena sembra ne abbia afferrato un lembo. Come un magnete, troppo uguale a me, brutalmente mi allontana, quasi mi respinge.
E’ il mio rifugio nei momenti di speranza ma troppo spesso è un urlo assordante soffocato dal silenzio monotono dei giorni di doveri, che inesorabilmente assorbono le mie energie.
I miei pensieri sono spesso con lui. Quel sogno è sempre lì, ad aspettare che io capisca come potergli dare vita.
I doveri incombono pesanti e prepotenti.
Da grande continuerò a sognare. Sognerò quel delicato sentimento che sta combattendo per indicarmi quello che voglio fare da grande.

(F. Mattiussi)

10 set 2010

- Fin dalle origini -

La mia pancia, ogni volta che diventa grande e ingombrante, e soprattutto ogni volta che qualcuno imperterrito ci nuota dentro, ha il potere di rimettermi in pace col mondo.
O meglio, di farmi cambiare punto di vista, ecco.
I tratti del viso si addolciscono, lo so nessuno ci crede ma è così. Capita anche a me.
I rapporti interpersonali si distendono.
E io mi ritrovo a fare i conti con la mia vita.
Divento più pragmatica di quanto già non sia.
Le liste si moltiplicano nuovamente. Ci sono post-it in ogni angolo della casa e dello studio con interminabili elenchi di punti da smarcare. Gli ingredienti per biscotti insieme ai contratti da firmare, le note spese, le e-mail da scrivere, il numero del tappezziere e i siti di au pair da controllare. Un tourbillon in cui io sembro muovermi con una certa tranquillità, anche se questa e’ solo l’apparenza.
Tutto questo nell’attesa. Che qualcun altro si aggiunga alla nostra piccola squadra di piccoli supereroi. Già si muove e fa capriole. Un giorno d’autunno sarà tra le mie braccia. E cercheremo di essere pronti.
Sarà nuovo e diverso. È già diverso. Questa volta so cosa mi aspetta. So che sarà difficile e che avrò voglia di piangere e di dormire come solo sa chi ci passa in mezzo.
So che Tommaso mi farà il muso e dovrò moltiplicare il mio tempo e il mio amore. So che è esattamente quello che ho voluto, che voglio e che sempre vorrò.
E un giorno cercherò di capire dagli occhi dei miei figli se sarò stata una brava madre.
Mentre nel frattempo cerco di non risparmiarmi, di non negarmi mai, di essere sempre presente. Un punto di riferimento fermo e solido a cui ancorarsi la notte quando i sogni fanno paura, il mattino quando c’è voglia di coccole, il giorno e la sera quando c’è da disegnare, costruire torri altissime, cucinare insieme, fare il bagno con squali, orche e delfini, scappare via davanti ai versi di dinosauri e mammuth.
Oggi dopo tanto tempo, per la prima volta capisco cosa è cambiato e sta ancora cambiando nella mia vita. Capisco che essere genitori è un mestiere difficile e che ognuno porta con sé le ferite, gli errori e le sofferenze della propria storia.
Domenica ho guardato a lungo mio nonno negli occhi e per la prima volta ho pensato che mio padre in fondo ce l’ha messa tutta. Per migliorare almeno un po’ rispetto a dove era partito. La strada è stata lunga e tortuosa e non sempre felici i risultati.
Ma infine ho capito. Che tutto ha avuto inizio molto prima che io nascessi, quando tu eri bambino e figlio e di me non c’era nemmeno l’idea. E che in fondo non sono tue tutte le colpe
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