15 dic 2010

- Come era bello da bambina -



Il mio cappotto blu della domenica mattina. La sua maglietta a fiori colorati per i pomeriggi estivi a far girare una collana di foglie.

La mia bici rossa, la sua bici rosa.

La sua spider di Barbie rossa e il mio camper di Barbie rosa.

Le mie tre ceste di giochi, la sua cameretta. La sua mansarda e la mia stanza blu.

Aveva il mio stesso nome e qualche mese in più di vita. Lei mora e dalla carnagione scura, i miei boccoli biondi contornavano invece il mio viso chiaro.

Un armadio, nel sottoscala, è scrigno di vecchie scatole di scarpe che, una sull’altra, anno dopo anno, custodiscono fedeli i miei giorni di bambina. Natale, Pasqua e compleanno, il primo giorno di scuola e ogni festa di fine anno. Lei, in queste foto, trova sempre il suo posto. Per tanto tempo siamo state inseparabili.

Stamattina sono ripassa davanti a quella palazzina che per quindici anni è stata il nostro castello.

L’ingresso maestoso, in fondo ad una stradina che in pochi metri disegnava un lungo sentiero nel bosco, due file di siepe. Le scale si arrampicavano fino al terzo piano, tortuose ed infinite. Su e giù, di corsa, a volte di nascosto. Il giardino verde e puntellato da alberi secolari di cui la cima si perdeva tra le nuvole, erano nascondiglio, ostacolo, percorso, mercato di fiori e foglie e casa del nostro amico Pettirosso. Da un terrazzo all’altro, il pallone sempre più in alto, lei dall’alto toccava le fronde, io dal basso col naso in su davo forma alle nuvole. Un giorno abbiamo dotato il castello di un ascensore di servizio, per le Barbie, un filo ed un secchiello. E poi i passaggi segreti fino al garage dove ci aspettavano impazienti i nostri cavalli, bici e pattini. E via assieme al vento nel nostro velodromo, il parcheggio. E poi le capriole sulle altalene dei giardinetti, saltavamo come giullari di corte. Ridevamo alla paura fino a convincerci della missione segreta in quella casa abbandonata, che tanto impauriva quanto faceva tremare di incosciente curiosità.

Ripenso con nostalgia a quando insieme davamo respiro e voce alle Barbie, il nostro gioco preferito. Inventavamo storie con parole di cui l’adolescenza si è vergognata e che ora forse ho dimenticato, cantavamo musiche sentite per caso in qualche trasmissione televisiva e le intrecciavamo con le melodie natalizie delle cassette di dicembre e non ci domandavamo perché le Barbie avessero degli altorilievi di fiorellini tra le gambe.

Forse sono passati dieci anni da quando ho salutato Francesca l’ultima volta, inconscia di dire addio alla mia infanzia. Una stretta al cuore ora, ripensandoci.

Ora non so dove sia né se mai ripensa al Condominio Emma.

Io, però, posso dire che era bello quando ero bambina

(Francesca)




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