14 dic 2010

- Relativismo e Democrazia -


Introduzione non richiesta
Il buon maestro non è colui che ti insegna a pensare come lui ma colui che ti insegna a pensare.
Purtroppo non ce ne sono tanti in circolazione, soprattutto in questo momento storico (dove il fondamentale “COME pensi” è stato subordinato al più superficiale “COSA pensi”).
Io devo riconoscere di essere stato fortunato perché sulla mia strada ne ho incontrati diversi di buoni maestri (alle elementari, alle medie, al liceo, all’università, al lavoro e nella vita). E se oggi sono la persona che sono lo devo innanzitutto a loro.
Sono molto contento che uno di questi buoni maestri, probabilmente uno dei più importanti, abbia accettato di scrivere per questo blog.
Sono contento per due ragioni, una personale e una “redazionale”. Quella personale è di poter condividere con voi (che ormai ci seguite assiduamente da qualche mese) l’approccio filosofico del mitico professor Giachino.  Quella “redazionale” è che con il post che segue si raggiunge un livello di comunicazione più profondo (magari anche più difficile, ma il beneficio vale lo sforzo!) rispetto a quelli provati finora.
Buona lettura!
(Mattia)

- Relativismo e Democrazia -

Sempre più spesso si associano questi due termini, quasi si implicassero reciprocamente, quasi che l’uno fosse il presupposto dell’altro e l’altro la necessaria espressione politica dell’uno.
Qui argomenterò la tesi contraria, cioè:
1) che democrazia e verità non si escludono affatto (Th.1); e
2) che il relativismo rappresenta piuttosto un pericolo per la democrazia (Th.2).

Ricorrerò ad argomenti tratti dalla storia dei sistemi liberal-democratici e ad argomenti più propriamente filosofici.  

Due definizioni preliminari:
1) per RELATIVISMO intendo quella posizione filosofica che afferma con il sofista Protagora che “l’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono per quello che sono, di quelle che non sono per quello che non sono”.
2) quando parlo di  DEMOCRAZIA mi riferisco alla LIBERALDEMOCRAZIA, essendo questa la forma che attualmente caratterizza i nostri sistemi politici, fondati su due pilastri: i diritti fondamentali della persona che lo stato riconosce, garantisce e protegge (es. parte I della nostra Costituzione) e un sistema di poteri bilanciati e limitati, tale da evitare lo strapotere di uno sugli altri (parte II della Costituzione). Gli uni e gli altri costituiscono il contenuto delle leggi fondamentali che chiamiamo Costituzioni.

Th 1.1 -  I sistemi liberaldemocratici si fondano su alcuni principi e valori che non sono considerati convenzionali, anche se vengono scritti nelle Costituzioni. La nostra Costituzione (art. 2  li dice “inviolabili”).  Essi sono: libertà, uguaglianza, giustizia e solidarietà (liberté, égalité, fraternité della Rivoluzione francese, ma che la civiltà occidentale ha lentamente riconosciuto nel suo lungo cammino di umanizzazione, a partire dalla tarda antichità, con il cristianesimo…). 
Questi principi danno origine ai diritti fondamentali: della persona, etico-sociali, economici e politici (secondo l’articolazione della nostra Costituzione (parte I, artt. 13-54). 
Si assume in concreto una ben definita concezione antropologica con le conseguenze che ne derivano: liberà e uguaglianza vanno difese e promosse, ad es. (v. ad es. il 2° comma dell’art. 3: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”
Non pare dunque vero che le liberaldemocrazie contemporanee non pongano a loro fondamento una determinata concezione etica dell’uomo.

Th 1.2 – Sorge a questo punto una domanda: “perché questi princìpi, questi valori e non altri?”.   La risposta che storicamente è stata data è la seguente: “perché questi scaturiscono direttamente dalla natura dell’uomo”. (v. Dichiarazione d’indipendenza dei coloni inglesi d’America (4 luglio 1776): “Noi consideriamo queste verità come di per sé evidenti, ovvero che tutti gli uomini sono stati creati uguali e che sono stati dotati dal Creatore di alcuni inalienabili diritti, fra i quali la libertà, la vita e il perseguimento della felicità e che i governi sono stati fondati per assicurare il godimento di questi diritti e derivano i loro legittimi poteri dal consenso dei governati”; Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (26 agosto 1789): “…l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i seguenti diritti  [sopra definiti: “naturali, inalienabili e sacri”] dell’uomo e del cittadino: art. 1. - Gli uomini nascono e rimangono liberi ed eguali nei diritti”.

Qui sorgono alcuni interrogativi ulteriori:
a)            Non è vero che la natura ci fa liberi ed eguali, ci fa anzi diversi: alcuni forti, altri deboli, ecc. (obiezione di Callicle nel Gorgia platonico). Va quindi precisato meglio il concetto di natura: condizione di fatto o criterio ontologico-assiologico?
a)            Perché la natura dovrebbe essere assunta quale criterio ontologico-assiologico?  Il riferimento al “Creatore” dei coloni inglesi d’America e all’”Essere Supremo” dei membri dell’Assemblea Nazionale francese fornisce una direzione alla risposta: la natura assume il ruolo di fondamento, perché è espressione della volontà divina.  Il fondamento ultimo dei diritti è dunque Trascendente.


Th 1.3 – A questo punto possiamo porci la domanda fondamentale: “Che ne è dei principi fondanti la democrazia nell’età del relativismo? Non potendo più essere fondati, come storicamente è avvenuto, sulla Trascendenza, quale altro fondamento o giustificazione fornire? È sufficiente fondarli su una convenzione? E, soprattutto, di fronte ad una eventuale minaccia o limitazione di tali diritti, con quali argomenti ci potremmo mai opporre a chi intendesse negarli o limitarli? E se costui avesse dalla sua la forza del numero, una maggioranza che lo sostenesse, in nome di che noi ci opporremo?”  Come potete vedere l’ancoraggio di tale concezione antropologica alla trascendenza, il rifiuto di ridurla ad un puro prodotto di una convenzione, rendeva possibile e legittimava moralmente la critica. L’abbandono di una concezione della verità come indipendente dalla volontà umana e dalle convenzioni ci rende indifesi di fronte ad una messa in questione dei principi che fondano la democrazia.

Le conclusioni a cui siamo giunti ci consentono di comprendere la  Th 2: Il relativismo rappresenta un pericolo per la democrazia, perché di fatto equipara ogni concezione antropologica, anche quella opposta all’”antropologia democratica” e riduce l’efficacia di molti argomenti contro una antropologia incompatibile con la liberaldemocrazia.

Un’ultima obiezione: “Ma la verità non è per sua natura totalitaria e violenta? Chi è convinto di possedere la verità non si trasforma poi in persecutore intollerante di tutte le altre posizioni?”.
Occorre distinguere l'ideologia dalla ricerca della verità: ci sono ideologie totalitarie che hanno giustificato le repressione dei dissidenti e l’eliminazione degli avversari, ma occorre ricordare che  quelle ideologie sono state (e possono essere) smascherate proprio a partire da una autentica concezione dell’uomo e del vero.

Non so come possa essere violenta e intollerante una antropologia che pone al centro il valore della persona e delle relazioni fra le persone, la giustizia e la solidarietà, la ricerca della verità e il dialogo.
Sul frontone dell’università di Freiburg in Germania sta scritto a grandi caratteri questo versetto del Vangelo di Giovanni (Gv 8, 32) “Die Wahrheit wird euch frei machen” (La verità vi farà liberi): la difesa contro il furore ideologico non può che essere una verità che trascende l’uomo, che lo giudica e che gli consente un giudizio. kriticadellaragione.blogspot.com
(Emilio Giachino)

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