Oggi il Parlamento italiano ha discusso la ratifica della Convenzione
di Istanbul contro la violenza sulle donne, convenzione su cui la Commissione
Europea lavora dal 2011 e che non ha ancora totalizzato le 10 ratifiche
necessarie ai fini dell’entrata in vigore. Ad oggi, infatti, un solo stato ha
ratificato la Convenzione: la Turchia.
Quando si parla di violenza sulle donne i più superficiali sorridono,
pensano a questi eventi come a situazioni lontane dalla realtà quotidiana e
alcuni addirittura alzano gli occhi al cielo quando si accenna all’argomento,
quasi fosse un tema di cui vergognarsi. Ma la vergogna non nasce dalla
consapevolezza che in un paese “democratico” come il nostro esistano ancora
discriminazioni tanto radicate, esistano convinzioni sociali tali da impedire
ad una donna di sentirsi pari ad un uomo al lavoro, a casa e perfino in
macchina. Si, perché chissà quante volte ho sentito qualcuno affermare “guarda
come guida quella, senza dubbio è una donna”. La vergogna la sente addosso chi
racconta, riflette, discute del fatto che oggi, nel 2013, le donne siano ancora
costrette a subire pressioni verbali, psicologiche e in molti casi fisiche,
solo perché donne.
L’errore è pensare che tali violenze possano esplicarsi solo tramite
condotte fisicamente invasive, ma ciò che la maggior parte degli individui di
sesso maschile e femminile al contempo dimenticano di considerare, è che
esistono anche le forme di violenza più sottili, quelle che non si vedono,
quelle a cui, per assurdo, siamo abituati.
Tutti si sconvolgono per le plateali tragedie che consumano la cronaca
quotidiana: donne stuprate, strangolate, bruciate. Ma c’è qualcuno che si
domanda “Perché gli uomini si sentono in diritto di possedere una donna al
punto tale da decidere deliberatamente quando e come picchiarla, violentarla,
ucciderla?”. Perché alla donna si associa il verbo possedere? Perché le donne
lasciano che questo avvenga? La violenza nasce per ideologia e comincia dalle
semplici strumentalizzazioni di cui la nostra società è colma ma a cui,
appunto, noi siamo abituati. La prostituta, la velina, la ragazza immagine sono
tutti ruoli che non riusciremmo neanche ad immaginare al maschile, perché
dopotutto l’idea di vedere due uomini che ballano sul palco di Striscia non ci
appare così naturale; l’idea di assumere dei ragazzi per fare gli steward fuori
dai negozi non sarebbe produttivo quanto avere delle hostess carine e disponibili
che ti sorridono all’entrata.
Ma nella maggior parte dei casi l’equazione per questi spunti di
riflessione ha come risultato una risata flebile, quasi piena di compassione
per te, donnetta sensibile ed eccessivamente emotiva che consideri anormali
cose come ammiccare agli estranei per indurli a comprare un prodotto o
sculettare in pompa magna on air, che in realtà di anormale non hanno nulla.
Per essere chiari, l’anormalità non è legata all’atto in sé ma al fatto
che quel gesto, quel ruolo, quell’immagine venga costantemente associata solo
alla donna, perché dopotutto se non è la donna che lo interpreta quel ruolo può
funzionare.
Queste quotidiane forme di strumentalizzazione non possono far altro
che riflettere le reali condizioni che ogni donna vive all’interno della nostra
società: una società in cui se ti opponi a simili forme di esibizionismo sei
una femmina isterica ed anticonformista che discrimina chi invece accetta di
buon grado di essere etichettata come “la donna tipo a cui non dispiace usare
se stessa per guadagnare qualcosa”; una società in cui se sei lontanamente
carina le tue qualifiche professionali vengono letteralmente fagocitate dal tuo
reggiseno; una società in cui quando lasci la macchina in doppia fila e
qualcuno ti suona senti in sottofondo il commento di qualche uomo affacciato
che dice “eh, figurati, poteva essere solo una donna”
Quante forme di violenza esistono e quante ne stiamo incentivando?
Quanti altri sorrisetti,sguardi nel vuoto, commenti sarcastici dobbiamo sentire
prima che qualcuno si accorga che non si parla di fantascienza o di melodrammi
alla Greta Garbo,ma che questo è un problema vero, una realtà concreta e
tangibile? Perché oggi l’aula di Montecitorio era quasi vuota mentre si
discuteva la ratifica della Convezione di Istanbul?
La risposta temo sia sempre la stessa: non ci preoccupiamo dei problemi
finchè non diventano tangibili, finchè non viene platealmente discriminata,
violentata o picchiata una donna che amiamo, finchè non capiamo cosa significhi
provare quel senso di rabbia e di sdegno quando qualcuno ti ride in faccia se
parli di discriminazione sessuale.
Il Gender Equality Gap Report del 2012 ha classificato l’Italia all’80°
posto nel ranking dei paesi politicamente attivi per ridurre le differenze di
trattamento fra uomo e donna.
In Italia 1 donna su 3 subisce violenze domestiche e solo il 15% di
queste donne ha il coraggio di sporgere denuncia, una denuncia che in media
solo dopo 6 anni si traduce in reclusione.
Anche io alzo gli occhi al cielo, ma insieme agli occhi alzo anche la
voce perchè, ridete pure, ma io a certe cose non mi voglio proprio abituare.
(Giulia 27/05/2013)