5 nov 2010

- “Cosa guardi? Chi stai fissando?” -



In treno, al supermercato e camminando senza meta in una piazza. Seduta nel bar del centro della mia città natale, dove la gente dice di conoscersi tutta, rivolgo spesso lo sguardo lontano da chi è con me, anche solo per un impercettibile secondo. Quanti siamo? Quanto siamo diversi? Guardandomi attorno mi perdo tra sguardi diversi, finestre su reticoli di pensieri singoli e singolari.

Mi meraviglia come la natura umana sia composta da un moltiplicarsi di io, fugacemente autonomi ma non indipendenti, orgogliosi e casualmente amanti o nemici. Figure di vita diverse una dall’altra, immagine momentanea di un’infinità di volti del passato generatori di vita per storie future.

Sono affascinata dalle storie che portano ogni volta estranee persone davanti ai miei occhi od accanto ai miei passi. E confesso di divertirmi a giocare con l’aspetto, le parole ed i gesti di chi mi sta attorno, e come un romanziere decide le sorti dei suoi personaggi in un mondo riprodotto dalle parole, io costruisco pezzi di vita altrui appropriandomi di un discorso al telefono, di un abbraccio o di un sorriso.

Interpreto una vita da un istante rubato ad ignari passanti che diventano ispirazione per un inespresso cortometraggio che altro non vuol dimostrare a me stessa se non quanto ognuno, appropriandosene, crede uniche le proprie gesta, emozioni e decisioni. E invece queste si riproducono a specchio ed accompagnano con puntuale costanza ogni esistenza. Innamoramento, litigio, confessione e delusione. Un’amicizia ed una maternità, il dolore della morte e la speranza. La fortuna e la sua attesa.

Guardandomi attorno catturo fotografie di altri momenti di vita e provo conforto nel percepire come la nostra singola diversità collassi inesorabilmente in motivi comuni, indelebili incisioni dell’essere a cui la nostra volontà non può far altro che desistere.

Mi piace curiosare illegittimamente nello spazio che non mi appartiene, un bisogno nascosto di confermare la fragilità che ci sostiene ma che la sopravvivenza ci ha insegnato a nascondere anche ai nostri stessi occhi, di ricercare quella solidarietà inespressa tra simili e di calmare quella remota angoscia d’essere sbagliato.

Un’uguaglianza impossibile da rinnegare e fonte di vita ma che contrasta con orgoglio, egoismo ed inspiegabile senso di superiorità, con quei crudi sentimenti che io, tu, ed ognuno sosteniamo con le nostre giornate, credendo e dimostrando alla nostra superbia d’essere migliori. Un senso assoluto nel vuoto di un’infinità di pensieri simili ed omicidi.

Mi rasserena percepire come il nostro essere vive di questo e si declina nell’unicità di ognuno.

“Niente, osservo la gente…”

kriticadellaragione.blogspot.com
(Francesca)



Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town by Un Kritico

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