Capitolo Undicesimo:
Tapas night, un assaggio della vita notturna madrileña
Quante volte vi sarà capitato di perdere una partita di basket per un punto? Ok ok... quella volta ci siamo presentati in sei... il nostro uomo più forte era fuori per cinque falli... un altro si è fatto male... insomma, si può sempre trovare una buona scusa. Ma di fatto quando perdi di uno essere in sei o in dodici non conta, essere il giocatore più decisivo o l'ultimo dei panchinari meno che mai. Chiunque avrebbe potuto fare la differenza. Un punto è niente. Meno di un canestro. Questione di centimetri. Questioni di istanti durante il rilascio del pallone. La linea che separa una squadra esultante e una che esce dal campo a testa bassa è molto sottile. Inferno e paradiso. Se quel tiro fosse entrato ora non sarei muto e pensieroso, seduto nello spogliatoio. Se avessi intercettato quel passaggio... se avessi preso quel rimbalzo se...se... se fossimo entrati nel portone accanto la nostra vacanza sarebbe stata completamente diversa. Migliore o peggiore? So cosa mi perdo quando perdo una partita. Riguardo alla nostra storia, so solo com'è andata avanti. E so che tutto è partito da Felix.
Non prendetela come un'esagerazione. Non siamo rimasti tre settimane a Madrid a fare festa con lui. Né lui ha mollato il suo lavoro per seguirci e guidare il nostro viaggio. Non penso di avergli rivolto più di qualche insignificante frase di circostanza. Però è stato il nostro inizio. Con il senno di poi, cioè di un 24enne che è stato in Erasmus ad Alicante e passa quasi tutte le sue vacanze in Spagna, posso senz'altro dire che quelle tapas e quel flamenco facevano schifo. Ma con il senno di un 19enne alla sua prima volta a Madrid, 15 euro per cibo più musica e disco sembravano quanto di meglio il paese potesse offrire.
Se volevamo partecipare alla Tapas Night dovevamo ripresentarci nel primo ostello alle otto e mezza. Ciò significava avere poco meno di due ore di tempo per trovare il nostro ostello, non troppo vicino, sistemarsi, fare una doccia, prepararsi per la serata e ritornare. Un’impresa difficile per chiunque, ma oserei definire titanica per una fighetta come Jeff. Anche se devo ammettere che alla fine non aveva neanche troppo distacco da me. Però io e il mio compagno di stanza (che ovviamente non era Jeff) litigammo parecchio con la serratura magnetica, tanto che chiedemmo un'altra chiave. Insomma questo piccolo contrattempo annullò il canonico quarto d'ora di ritardo di Jeff, che si permise di sogghignare quando gli chiesi di imprestarmi il gel“sapevo che me lo avresti chiesto…”
“Bionda a ore 10”. “L'ho vista prima ancora che tu arrivassi, Eddie.” “Temo sia un po' grande per noi, Mike”. “Meglio! Vale doppio!” “Non mi riferivo solo all'età, ma al tipo che le siede accanto...” A tavola non eravamo più di una ventina e una gara a chi beveva più sangria tra me, Stone e Mike mi fece sembrare il cibo gradevole. Accanto a me e Mike c'era un australiano, il solito australiano che incontri in tutti gli ostelli e che sta facendo il giro dell'Europa da solo. Il solito australiano ultra socievole che affascina tutte le ragazze e che ti ruba la scena in tutti gli ostelli. Questo era un po' meno espansivo del solito, ma che potevo saperne io? Non avevo mai incontrato un australiano.
“Dove andate domani? Io sono indeciso tra Leeds e Parigi... poi tra una settimana tornerò a casa...” Leeds o Parigi? Per quanto ritenessi di un avere uno spirito viaggiatore, non riuscivo a concepire questa suo concetto di vacanza in Europa, girandola tutta in una volta. Per me l'Europa è la mia casa, anzi l'Italia è la mia casa e avevo appena cominciato a scoprire l'Europa, un progetto che sarebbe andato avanti per anni, vacanza dopo vacanza. Certo, se mai andrò in Australia, sicuramente pianificherò di vederla tutta in una sola volta. Queste poche chiacchiere aumentarono la mia voglia di viaggiare e mi convinsero che volevo andare a Lisbona, dove tutto costa meno e comunicare non è un problema perchè parlano tutti inglese, non come gli spagnoli. Vero è che per un italiano comunicare in Spagna non è un gran problema, visto che le lingue sono sostanzialmente identiche. Era la mia prima volta in Spagna, non me ne ero accorto e mi ostinavo a parlare inglese con tutti.
Lo spettacolo di flamenco, complice la qualità acustica che ti puoi aspettare dalla sala comune di un ostello, ci offrì più risate che buona musica, per la presenza sul palco di tre indimenticabili personaggi. Un chitarrista che pareva anche piuttosto bravo, ma assomigliava troppo a uno dei messicani della pubblicità dell'Estathè, una cantante con un fisico e i movimenti di un tenore lirico e il ballerino Paquito, che divenne inspiegabilmente il nostro idolo per tutta la serata. Dopo un po', tuttavia, il nostro entusiasmo calò drasticamente. Felix lo notò e ci rassicurò che era quasi finito, poi aggiunse un “Ready to dance?”. Lo spettacolo durò almeno altri tre quarti d’ora. Ma poi finalmente uscimmo, verso la discoteca. Pronti a ballare? In realtà io per nulla...
(Roberto)
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