20 mag 2011

- H2O, le implicazioni -


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     Riprendiamo da dove ci siamo lasciati ieri:
     
      - Se vince il si, nessuno impedirà ad un AATO di organizzare una gara per l’affidamento del servizio idrico e che a vincerla sia un privato o a una società mista.  
·          -  Se vince il no, nessuno impedirà ad una società a capitale pubblico di partecipare alla gara e di vincerla se lo merita.  

La legge attuale infatti vuole solamente favorire una maggior partecipazione di soggetti con vocazione industriale, nel tentativo di portare a termine il cammino verso una maggior industrializzazione del servizio idrico iniziata nel 1994 con la Legge Galli. Da notare che il Decreto Ronchi presenta le stesse caratteristiche di un ddl proposto dal Ministro Lanzillotta nel 2006 sotto il governo di Prodi e sostenuto da gran parte del centro-sinistra (motivo per cui oggi Bersani o chi per lui del PD non può presentarsi in tv per dire alcunché); ma soprattutto la questione è questa: tale decreto ha una portata che è stata esagerata all’infinito da una propaganda, portata avanti soprattutto dalla sinistra più radicale, che almeno per una volta è stata più efficace di quella di destra.
ATTENZIONE: se, come si sente dire, alla porta ci fossero le grandi multi-nazionali e i privati pronti ad “assetarci”, essi dalla porta ci sarebbero già entrati da tempo: ad oggi ci sono già tutte le condizioni affinchè i privati e le multi-nazionali conquistino il mercato dei servizi idrici italiani. Peccato però che su 114 affidamenti, solo 5 siano in mano privata e la maggior parte delle gare vadano deserte per mancanza di contendenti. Come mai? Ciò avviene poichè l’acqua è un business che non rende, perchè i rischi in capo ai soggetti privati sono troppo elevati, perché lo stato delle nostre infrastrutture è penoso e nessuno si vuole imbarcare in operazioni titaniche di investimento che porterebbero all’aumento delle bollette e alla sollevazione popolare. E non sarà certo il misero Decreto Ronchi a consegnare l’acqua nelle mani loro.
Ma ad una cosa dobbiamo rassegnarci: una certa partecipazione dei privati c’era, c’è e ci sarà. Sia a causa di competenze tecnico-manageriali in mano alle società, sia per ragioni economico-finanziarie. Questo perché lo stato delle infrastrutture è pauroso, la rete perde in media circa il 40% dell’acqua che viene immessa e l’importo degli investimenti stimato per i prossimi 30 anni è di 65 miliardi di euro (dati Co.N.Vi.Ri e Anea-Utilitatis). E chi paga? Risposta: noi. Ah già perché mi son dimenticato di dirvi: qua si parla di privatizzazione dell’acqua, che l’acqua è un diritto ed è un bene pubblico etc. ed è tutto vero. Ma l’acqua come bene comune ce la beviamo in montagna alla fonte, mentre per farla arrivare al rubinetto di casa servono tubature, depuratori e poi impianti di smaltimento e fognatura. E bisogna mantenerli. E chi deve sborsare i soldi?Risposta: noi!
“Noooo!!” mi direte, “io non voglio che le bollette aumentino!” e bla bla bla”. Bene, chi paga allora? Perchè il punto fondamentale è proprio qui, non siamo disposti a sborsare una lira nè ad assumerci il dovere (si, si parla anche di dovere e non solo di diritto) di contribuire affinchè venga assicurato per il futuro un servizio idrico di qualità a chi verrà dopo di noi. O vogliamo continuare a pretendere un servizio di qualità gratis e a trovarci con dei buchi così nei tubi nei prossimi anni?
Troppo spesso il pubblico rinuncia a compiere gli investimenti necessari per ragioni di consenso elettorale e troppo spesso il privato fa il furbetto pensando al suo tornaconto. Ma troppo spesso noi non siamo pronti a far fronte ad un aumento delle tariffe, che pur in Italia sono tra le basse in Europa, e siamo pronti a gettar la croce a chi si impegna a investire e a dover inevitabilmente accrescere le tariffe.

In definitiva il decreto Ronchi non tocca le criticità salienti del nostro sistema e non imporrà alcun cambiamento significativo. Ma i promotori del referendum, contestando la consegna al mercato dei servizi idrici, dovrebbero spiegare qual è l’alternativa che si propone: si vuole tornare ad una gestione pubblica locale? Con quali fondi e quali competenze? Non si tratta più di tirare fuori l’acqua dal pozzo e di portarla dentro casa in un secchio come una volta.
Oppure si vuole statalizzare il tutto, come ormai solo Chavez nel mondo fa?E comunque di nuovo: con quali soldi con il nostro bel debito pubblico?
Tutti gli esperti del settore (Massarutto, Drusiani, Boitani, Scarpa) propongono che a fianco di una maggior industrializzazione del settore, attraverso un più esteso ricorso al mercato, si affianchi un forte ruolo di controllo e regolazione da parte delle autorità pubbliche ovvero: la creazione di un’autorità di regolazione indipendente che controlli che ad un aumento tariffario corrisponda un aumento della qualità del servizio, il miglioramento del sistema tariffario affinchè sia più efficiente, equo ed incentivante alla riduzione degli sprechi, così come schemi di allocazione dei rischi che incentivino le società di capitali ad intervenire nel settore e a metterci i soldi. Chissà perché però, la politica non prende in considerazione tali questioni che da anni sono sul tavolo e preferisce concentrarsi sulla forma della gestione più che sugli interventi di sostanza.

Io andrò a votare, convinto che comunque si debba, ma dico: attenzione a non farci imbambolare dalla campagna elettorale che ha ingigantito la portata di questo referendum, il quale vuole abrogare una legge che dice molto poco e vuole abrogarne un’altra con conseguenze che sarebbero nefaste per il settore.
Io voterò scheda bianca.
(Pietro)

19 mag 2011

- H2O, i quesiti -


Il 12 e 13 Giugno saranno i giorni del referendum: andremo a votare (si, ci andremo!) anche per l’abrogazione di due disposizioni di legge che riguardano quella conosciuta come “privatizzazione dell’acqua”. Parto con due affermazioni, tanto per far capire il taglio di questo mio intervento:
a)     -  io personalmente sono contro la privatizzazione dell’acqua;
b)    -  questo referendum non è contro la privatizzazione dell’acqua, bensì sostanzialmente contro nulla.
Esaminiamo separatamente i due quesiti oggetto di referendum:
Il primo quesito  “Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Abrogazione” recita «Volete voi che sia abrogato l'art. 23 bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto legge 25 giugno 2008 n.112 "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria" convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n.133, come modificato dall'art.30, comma 26 della legge 23 luglio 2009, n.99 recante "Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia" e dall'art.15 del decreto legge 25 settembre 2009, n.135, recante "Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europea" convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n.166, nel testo risultante a seguito della sentenza n.325 del 2010 della Corte costituzionale?»
Risposta? BOH!
Facciamo ordine. Oggi il servizio idrico in Italia è organizzato in questo modo: sul territorio nazionale sono costituite 92 ATO (Ambiti Territoriali Ottimali), guidate dalle Autorità d’Ambito Territoriali Ottimali (AATO), le quali sono composte dai rappresentanti degli enti locali dell’ATO di riferimento. Ad esempio in Piemonte abbiamo 6 ATO, mentre in Puglia, Sardegna e Valle d’Aosta vi è un unico ATO regionale. Le AATO sono responsabili dell’affidamento del servizio idrico ad un operatore o gestore. L’articolo 23 bis o Decreto Ronchi, che il referendum si propone di abrogare, tratta delle modalità di affidamento. Quali sono oggi queste? In ogni ATO il servizio viene affidato ad un unico gestore (anche se poi in realtà non è così) tramite gara pubblica (sostanzialmente un’asta) oppure tramite affidamento diretto a un soggetto pubblico. Questa seconda modalità, conosciuta come affidamento in house funziona pressappoco così: io ente locale affido in via diretta la gestione del servizio nella mia area al gestore Mattia Tarizzo, perché è mio amico, perché lo conosco, perché so che non aumenterà le tariffe etc.; tale modalità di affidamento va contro i principi comunitari in materia di concorrenza e appalti, ma l’Unione Europea ha lasciato un margine di tolleranza: ovviamente il margine in Italia si è trasformato in voragine, tanto che il 50% degli affidamenti oggi avviene tramite questa modalità. La legge che si vuole abrogare vuole colpire gli affidamenti in house e dice: tutte le concessioni devono essere effettuate tramite gara, gara a cui possono partecipare solo società per azioni. Ecco qua la contestata imposizione della privatizzazione. Attenzione però: alla gara possono partecipare s.p.a. a capitale pubblico (esempio la SMAT di Torino), s.p.a. a capitale privato o società miste. Per tale motivo, più che di consegnare il servizio idrico in mano ai privati, mi sembra più giusto parlare di consegna del servizio nelle mani del mercato. Chi vuole aggiudicarsi il servizio, partecipa alla gara e che vinca il migliore, sulla base della qualità e del piano tariffario presentato da ogni pretendente (ci sarebbe da fare un lungo discorso sulla validità di una gara in cui tutto viene deciso a monte). Se Mattia Tarizzo, a cui il servizio è sempre stato consegnato direttamente, si dimostrerà efficiente, egli con tutta probabilità vincerà la gara in quanto un soggetto pubblico parte con un bel vantaggio su uno privato che deve pensare anche al suo tornaconto.
La portata di tale legge è stata diminuita notevolmente con il suo regolamento attuativo : la Lega Nord infatti si è messa di traverso, in quanto la legge “bolla” tutte le gestioni pubbliche dirette, presenti in prevalenza al Nord, come inefficienti e le costringe a “gareggiare” anche quando si sono dimostrate efficienti e perfette; per tale motivo è stata introdotta una classica deroga all’italiana secondo cui viene evitato il ricorso alla gara  in caso di “(…) situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento( quali?), non permettono un efficace e utile ricorso al mercato”. Ovvero, ci sono tutti i presupposti affinchè tutto o quasi rimanga come prima.

Il secondo quesito Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito. Abrogazione parziale di norma, recita: «Volete voi che sia abrogato il comma 1, dell’art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 “Norme in materia ambientale”, limitatamente alla seguente parte: “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”?».
Dunque, oggi nel calcolo della tariffa viene tenuto conto della remunerazione del capitale investito che deve essere corrisposta al gestore ed è garantita e fissata al 7%. “Via profitti dall’acqua..non si fanno profitti con l’acqua etc.”. Giusto, bello. Il referendum si propone dunque di eliminare la remunerazione del capitale dal computo delle bollette. Il servizio dovrà essere dunque gestito non a scopo di lucro. Se si va a vedere il settore gas o elettricità, scoprirete sul sito dell’AEEG che la percentuale di remunerazione del capitale corrisposto per investimenti in tali settori è superiore e varia dal 9 al 12 %.  Però nessuno si lamenta, strano! La portata di un eventuale vittoria di tale quesito referendario è più profonda di quello che sembra: con tali condizioni, nessun impresa sarà mai spinta e incentivata ad investire nel settore e quelle già coinvolte andrebbero facilmente incontro al crack finanziario, conseguenza per cui la fuga dei capitali, che pur servirebbero, sarebbe ancora più consistente di quella attuale. Gli unici soggetti che possono operare senza scopo di lucro (ed eventualmente scaricare gli eventuali debiti sul bilancio pubblico), sono i soggetti pubblici o le vecchie società “municipalizzate”: per finanziarsi però, essendo il capitale proprio limitato, dovrebbero indebitarsi non di poco con le banche, le quali diverrebbero probabilmente le migliori amiche e le azioniste di riferimento. Vogliamo questo? Personalmente, sono convinto che il vero scandalo sia che tale percentuale del 7% sia fissa e garantita e che soprattutto non venga fatta distinzione tra capitale proprio e capitale preso a debito (equity e debt capital secondo la dicitura inglese). Penso anche però che l’abrogazione totale e senza distinzioni proposta dal referendum sia pericolosa e dannosa per il settore.

Ok, qual’ è il succo del discorso dopo questa noiosa pappardella?

·    - Se vince il si, nessuno impedirà ad un AATO di organizzare una gara per l’affidamento del servizio idrico e che a vincerla sia un privato o a una società mista. [Le aste le organizza il soggetto pubblico, ovvero l'AATO: ad oggi l'asta è solo una delle modalità possibili per l'affidamento ed il decreto Ronchi vuole renderla l'unica possibile. Se vince il si, ovvero viene abrogata la legge, la gara tornerebbe ad essere una delle modalità e non l'unica, quindi rimarrebbe possibile per un AATO ricorrere ad essa quando lo voglia. Su questo non si va troppo sul sicuro però, in quanto  il punto oscuro è che, se vincesse il SI, nessuno sa dire quale sia la disposizione di legge a cui si ritorna a ritroso (Testo Unico del 2006, oppure leggi del 2003 o 2002??): è qui io dico: ci spiegate l'alternativa che si propone?]

·     - Se vince il no, nessuno impedirà ad una società a capitale pubblico di partecipare alla gara e di vincerla se lo merita. [Se vincesse il NO, rimane la legge e dunque bisognerà passare attraverso l'asta per forza: ma ad essa ci possono andare anche s.p.a. a capitale interamente pubblico o quasi...sempre una s.p.a. e quindi soggetta alle regole di mercato, però con quote azionarie detenute dagli enti locali .Ed qui io dico: più che di privatizzazione si dovrebbe parlare di ricorso al mercato]

18 mag 2011

- Think Original -



Lunedi' mattina siamo arrivati in ufficio e abbiamo trovato Alessandro...


uno cosi' voi non lo chiamereste almeno per un colloquio?

17 mag 2011

- Miracolo a Milano -



Il voto di ieri mi ha sorpreso…


Domenica volevo scrivere un post alla Moretti… Non vinciamo mai… Perché dovremmo vincere questa volta? A Milano… Con Pisapia…


Stamattina ho avuto un breve scambio di e-mail con alcuni amici… loro dicevano che ha vinto il meno peggio… che Pisapia non era il candidato ideale… che ha vinto per demerito della Moratti e non per merito suo…

Questa corrispondenza, insieme al risultato del voto di ieri,  scaturisce in me due riflessioni: sul ruolo di sindaco e su quello delle primarie.


Se la Moratti fosse stato un buon sindaco non avrebbe permesso a Berlusconi di personalizzare (e “nazionalizzare”) lo scontro (che purtroppo non è quasi mai DIALOGO) per rinnovare il proprio mandato…


Se la Moratti fosse stato un buon sindaco non avrebbe chiuso il confronto televisivo con il proprio avversario accusandolo di furto (dedicando a tale accusa un minuto dei due a disposizione per rispondere alla domanda che cosa farà nei primi 100 giorni a palazzo marino in caso di conferma)…


Se la Moratti fosse stato un buon sindaco avrebbe parlato di cosa ha fatto di buono in questi 5 anni… perché no? Avrebbe potuto parlare di cosa avrebbe potuto fare meglio… e soprattutto avrebbe potuto parlare di cosa avrebbe fatto, forte dell’esperienza cumulata, per i prossimi 5 anni…


Per me un buon sindaco non è un sindaco perfetto, non è un sindaco con la bacchetta magica, non è un sindaco che non fa errori… Per me un buon sindaco ha il DOVERE (difficilissimo!) di farmi appartenere la città… di farla sentire mia… E la Moratti questo non l’ha fatto…


Da questo emerge che qualche demerito la Moratti sicuramente l’ha avuto… eppure…
Eppure e’ sbagliato dire che Pisapia non abbia giocato un ruolo in quanto e’ accaduto…


Pisapia e’ stato scelto con le primarie… e per me il risultato di ieri e’ una dimostrazione che nessuno meglio dei cittadini sa intuire il vento che tira…


Personalmente credo che se non ci fossero state le primarie… e il candidato del centro sinistra fosse stato Boeri il risultato non sarebbe stato lo stesso…


Dunque… bravo Pisapia ma soprattutto bravi i cittadini che lo hanno scelto attraverso le primarie… e, per una volta, bravo al PD che con le primarie fa scegliere agli elettori il proprio candidato invece che farlo scendere da un palazzo…

13 mag 2011

- Rocking Milano -


Vi presento Viola, brillante collega nonché fine giurisprudente italiana e francese, impegnata in primissima persona da ormai svariati mesi nella campagna elettorale a favore di Giuliano Pisapia.

Si tratta di una voce giovane, dinamica e illuminata, milanese doc, che sono sicuro sarà più che benvenuta (e, perché no, nello stile del nostro blog, criticata) su Kritica.

ça va sans dire, Viola sarà disponibile a interloquire con eventuali "interventisti".

(Megas )


*****

« Hey, ma lo sai che la lista civica Milano al Centro é finanziata da Dall’Utri ? »
Drrriiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiinnnnnnnnnnnnn………………..

Mancano 4 giorni, solo 4 giorni ! Ci siamo, non ci posso credere, il weekend del 15 maggio é arrivato, dopo sei mesi trascorsi a girare sul territorio, a parlare con la gente, a scontrarmi col muro di gomma del cittadino « distante dalla politica » ; concetto inspiegabile, illogico, a guardare all’etimologia stessa del termine « politica ».

Cosa hanno fatto dell’Italia, dei Milanesi, della mia Milano!! Incredibile, oramai si é talmente nauseati che, se si fa ancora lo sforzo di andare a votare, si considera che tale sforzo sia sufficiente di li a 5 anni, e si delega la gestione di casa propria a terzi ignoti e imbellettati, senza accorgersi che le loro scelte determinano il nostro quotidiano.

Non conoscevo Milano. Non ne conoscevo la sua reale estensione. Che poi, Milano é piccola. E’ fatta di tanti splendidi angoli romantici, talvolta detupati da un’architettura bizzarra, ma pur sempre dolci al mio sguardo. Le appartengo. Me ne sono andata 6 anni, ma sono tornata perché le voglio bene, e la credo migliore di quello che mi fanno vedere, di quello che mi raccontano.

Sono stufa dell’informazione che mi circonda, tutta! Il mondo é sufficientemente evoluto da fornici metri di paragone utili per giudicare l’operato dei nostri governanti, con la nostra testa. E onestamente, sono proprio scarsi, i governanti degli ultimi 5 anni!
Quello che si poteva fare, ma non é stato fatto, é sotto gli occhi di tutti, raccontato in lungo e in largo, e non intendo tediarvi anch’io. Potete istruirvi da soli, con un semplice click .

Ciò che non vi raccontano, é l’esperienza di migliaia di cittadini che, nella città più frettolosa e produttiva d’Italia, hanno dedicato i loro momenti liberi, le notti e le domeniche, ai loro concittadini. Gente che sistemava campetti sportivi nei parchi, che piantava fiori nelle aiuole e prendeva l’impegno di annaffiarli per i prossimi 5 anni, gente che faceva danzare gli anziani nei circoli e piantava ciliegi negli asili, gente che si trovava nelle periferie per contrastare l’ondata mafiosa, gente che si trovava in centro per far cultura….gente che tra mezzanotte e le due del mattino puliva piazza Duca d’Aosta, perché in cambio ha avuto il piacere di vedere 20mila persone raccolte intorno ad un palco dal quale si liberava musica. Volontari. Cittadini.

Questa gente si é impegnata nella campagna, ma rappresenta ognuno di noi. Sono le persone che partecipano ad associazioni nei campi più disparati, dallo sport all’assistenza sanitaria, al teatro, al trasporto pubblico notturno delle donne e di chi magari ha esagerato. Sono i rappresentanti delle best practices sviluppate dai milanesi, orgogliosi di rendere più attiva e più bella la loro città.

Giuliano Pisapia alcuni li conosceva, altri li ha conosciuti, di altri magari sa solo che partecipano. Giuliano Pisapia ha deciso di dar loro spazio, voce, fiducia, sostegno. Di centrare lo sviluppo di Milano sull’azione cittadina, seguendo le esigenze indicate degli stessi milanesi, garantendo trasparenza e controllo sull’operato amministrativo (l’opposto dell’esperienza EXPO di questi due anni, per intenderci).
Giuliano Pisapia ha fatto tacere i partiti di sinistra, li ha messi in riga e li ha riportati tra la gente, risvegliandoli dai loro circoli, dove stavano chiusi a far voli pindarici.
Giuliano Pisapia ha studiato per 8 mesi (solo perché non ha avuto più tempo) le criticità della città. Ha ascoltato migliaia e migliaia di voci, ha costruito un programma con loro.
Giuliano Pisapia ha potuto realizzare tutto questo perché è una persona, gentile certo, ma soprattutto competente, che conosce il diritto e le regole alla base della convivenza sociale. Dote necessaria, eppure rara nell’odierna covernance meneghina.
Giuliano Pisapia sa che Milano é una città fortissima, e che deve solo difenderla dagli attacchi di che vorrebbe appropriarsi della sua ricchezza.
Giuliano Pisapia é la persona che può traghettare Milano ad un nuovo momento di splendore. Letizia Moratti è la persona che può farci sprofondare nel baratro del malaffare, per pura e semplice incompetenza, poverina.
In entrambe i casi, Amico e Concittadino, il 15 e 16 maggio ti dirigi verso un cambiamento.


Ti chiedo solo un favore.
Vota responsabilmente.
(Viola)

- Milano a colori -




Qualcuno lo ha definito il ‘terzo uomo’ ma lui, Manfredi Palmeri, candidato sindaco per il Nuovo Polo per Milano, è perfettamente consapevole di rappresentare quell’elemento di rottura di un bipolarismo che, nella politica italiana, non si è dimostrato così vincente.  Con lui tanti e giovani candidati motivati, tra loro abbiamo scelto di presentare, per la sua grinta e determinazione, Anastasia Palli, candidata Presidente per la Zona 1, Milano centro, che si presenta con un programma dinamico, ‘alternativo’, concreto, dalla parte di chi ha voglia di migliorare e veder crescere la nostra città. Una città che meriterebbe di essere più europea ed è per questo che la sua proposta mira a potenziare le iniziative culturali, sociali e di tutela ambientale.
Idee e progetti in perfetta sintonia con il programma del Nuovo Polo per Milano che, in dieci punti precisi, punta alla concretezza e alla realizzazione delle principali necessità della gente. Un programma vero, lontano dagli estremismi e dalle polemiche di fazione come anche da proposte stantie e sempre più uguali a se stesse. Milano deve puntare sulla sicurezza perché sia più vivibile, deve essere informatizzata per facilitare il lavoro delle migliaia di cittadini che ogni giorno vivono e operano in città, deve fornire i mezzi necessari per tutelare il patrimonio artistico e culturale e renderlo fruibile perché una grande città europea sa puntare sulle sue eccellenze. Ed è per questo che Milano deve investire sull’istruzione, sullo sport, sulla gestione delle sue principali strutture utilizzando al meglio le risorse pubbliche che diano la possibilità a chi è realmente motivato di raggiungere i più alti risultati. Solo con persone realmente preparate e motivate si diventa competitivi.
Nel programma di Anastasia poche parole ma tante immagini che raccontano di una Milano grigia, spesso abbandonata a se stessa, alle prese con eterni cantieri e dilaniata proprio nei suo angoli più belli e caratteristici. Armata di macchina fotografica e piantina del centro, ha cercato quel cuore ‘ferito ‘ di Milano che è diventato il suo libro-programma. Nei numerosi scatti tutta l’incuria alla quale è stato abbandonato il centro della città: dalla Darsena agli spazi della ex Scuola di Circo di via Montello, agli eterni cantieri antistanti il Teatro Smeraldo, allo stato di abbandono totale in cui versa il glorioso Teatro Lirico, senza dimenticare le panchine divelte, le strade piene di buche, gli scivoli, mai realizzati, per disabili, che accrescono le loro difficoltà, al verde pubblico che diventa ogni giorno un bene sempre più raro.
Negli anni si è battuta, quasi inascoltata (poiché non gradita a un sistema piatto e convenzionale), perché i suoi progetti provassero a diventare realtà. Il suo obiettivo è dare spazio a una dimensione più umana della città in cui è facile incontrasi e riconoscersi. E per questo che l’obiettivo di Anastasia Palli è la richiesta delle deleghe ai Consigli di Zona, necessarie per realizzare i progetti utili al territorio sul quale si opera, fondamentali per offrire garanzie agli abitanti che chiedono partecipazione attiva nelle decisioni dei Consigli e bisogno di ascolto, utili per lavorare in sintonia con gli organismi centrali del Comune.

Un miracolo? Un sogno? Forse no, se ognuno si impegna a recitare la sua parte e se qualche cittadino, come Anastasia Palli, si fa portavoce dei problemi quotidiani della gente all’interno delle istituzioni che dovrebbero essere più vicine alle loro esigenze, cioè i Consigli di Zona.
La sua idea di politica è quella dell’andare ‘porta a porta’ per conoscere le reali esigenze dei cittadini e non fatta ‘spiando’ la città dai vetri oscurati delle auto blu dove tutto è perfetto perché irreale.
Vorrei che Milano tornasse a essere bella, vivibile e accessibile a tutti. Vorrei che i bambini che incontro all’uscita di scuola possano attraversare strade sicure e curate, vorrei che perfino il passante più distratto possa essere attratto, anche se solo per un attimo, da quell’angolo di città che lo circonda, vorrei che mia nonna e tutti gli anziani possano vivere in una Milano che sappia rispettare la loro storia e la loro vita, mi piacerebbe che i nostri amici animali avessero gli spazi necessari e l’affetto che meritano. Vorrei una Milano in cui chi ci vive possa amarla ed essere da lei riamato”. 

10 mag 2011

- Milano, Meno 5 -



Questo è un post che meriterebbe una grande riflessione prima di essere scritto. Ci vorrebbe del tempo, ecco. E io il tempo, quando ce l'ho, lo dedico a cose che ritengo troppo importanti per essere delegate (anche se sto iniziando a cambiare, vi dirò..).

Pertanto accontentiamoci. Io e voi, i miei due lettori affezionati a cui voglio bene dal profondo del cuore.

Quello che butto giù di getto, senza troppe riflessioni indi è che..bhè col tempo, con i giorni, con il fatto che qui sono nati i miei due bimbi e qui sta crescendo la mia piccola famiglia di pazzi sgangherati, io a Milano inizio a volere davvero bene.
Inzio a capirla. Dopo anni in cui il mio pensiero volgeva sempre e solo al di là dell'Oceano..a New York, che resta sempre my home, sweet home (anche perchè fa sentire a casa chiunque secondo me), inizio a sentire che qui ho messo una piccola radice..
esile ancora, per carità..ma che sta scendendo in profondità ogni giorno di più. E giuro, sono io la prima a stupirmene.

La mia via è diventata casa. Il mio quartiere mi fa sentire sicura e le recenti amicizie con Massi e Katia i gelatai, con la Marta di Orangorilla, l'ormai usuale buongiorno al mattino con gente che abita nella stessa strada e di cui non so nulla..pensavo esistessero solo nelle città di provincia come quella da cui provengo. Invece no. Io qui mi sto facendo i vicini, i conoscenti e soprattutto gli amici. Vado al Parco e passo il tempo a chiacchierare con tutte le mamme che conosco e sono davvero tante. Mi fido del mio macellaio e adoro la colazione davanti all'Arco della Pace.

Sto diventando milanese e per la prima volta quando lo dico non associo a questa parola ballerine dorate e borsa Louis Vuitton. Bensì mi vengono in mente BikeMI, l'Anteo Spazio Cinema, Orticultura, Brera, la Triennale..si certo anche le scarpine Porselli e i negozi di Miu Miu...ma pure l'asilo di Tommaso pieno di gente, di accenti internazionali e di rumore, il delivery di PARCO Sushi, l'Esselunga che mi consegna a casa, le bimbe tedesche che vivono al piano di sotto, la mia aupair che mi racconta di quante amiche provenienti da tutto il mondo si sta facendo ogni giorno, il corso di italiano che il comune ha organizzato a 85Euro ogni tre mesi a cui l'ho iscritta e che sembra funzionare...

Milano, Milano sta diventando casa mia.
E io, se mi conoscete bene e se non mi conoscete bene ve lo dico, a casa mia ci tengo davvero tanto.
Per questo credo fermamente, profondamente, assolutamente, incommensurabilmente, totalmente, ..ente cazzo che sia arrivato il momento di liberarsi completamente, finalmente, definitivamente, ..ente e ripeto il cazzo, cazzo...di Letizia. Come si fa chiamare lei. Vota Letizia, trovo dappertutto.

No, siamo seri dai. Questa non ha fatto una beata mazza per tutto il mandato, intendiamoci. A lei di Milano, dei cittadini, dei bambini, dell'Expo, della cultura, del riciclo, dello smaltimento rifiuti, dei giovani, delle imprese, del mercato del lavoro non gliene frega nulla. Che va benissimo, ma non se vuoi fare il sindaco.

Oggi mi è arrivata a casa la letterina di Giuliano Pisapia. Due pagine sintetiche, pulite, semplici e ad effetto (almeno su di me..ma ammetto che Pisapia ha il mio voto in tasca dalla notte dei tempi, per cui poteva anche risparmiare su foglio e busta). Certo, niente in confronto al librone/portfolio della Moratti che ho intravisto a casa di amici e che, in quanto indirizzato a me, non ho neanche scartato e ho automaticamente infilato nella raccolta della carta. (Povero albero, immagino sperassi di essere destinato ad una fine ben più nobile giacchè ti stavano tagliando..mi scuso con te che non ne puoi nulla.)

Per favore, dicevo, ragioniamo ragazzi. Qui ne va del nostro futuro. A me di destra e sinistra in questo momento non me ne frega nulla. Ma dei miei figli, del mio lavoro, della mia città si.
Se Milano cambia è un segno per l'Italia. Milano è la prima piazza. E' la piazza.
Bisogna crederci e provarci. Porca zozza.

5 mag 2011

- Processo breve e processo yogurt -



Ecco il processo breve! L’Europa ci chiama e noi rispondiamo: basta con processi che durano secoli, ora anche da noi si farà in fretta. Una giustizia rapida è una giustizia giusta.
Detta così, siamo tutti d’accordo: i processi civili e penali nel sistema italiano durano troppo.
L’Europa ci sanziona in continuazione per i tanti ritardi.
Qual è allora il rimedio che si propone? Il processo breve. Su questo argomento non troverete nulla nella Riforma Epocale della Giustizia: per il processo breve un’approvazione breve, direttamente per legge ordinaria, senza toccare la Costituzione. Qualche parapiglia in Parlamento, urla nella piazza di Montecitorio, e poi si parte.
Ma cos’è questo processo breve e, soprattutto, come funziona? In due modi: fissando per legge la durata e accorciando i termini della prescrizione. Si dice cioè: il processo deve finire entro un certo termine (altrimenti subito giudizio disciplinare per i magistrati, perché si sa che la colpa è solo la loro) e comunque dopo poco tempo il reato è estinto, cancellato dalla prescrizione.
È lecito pensare: ma se hanno fissato un termine per finire i processi, avranno anche fatto uno studio approfondito per capire come mai durano così a lungo; di conseguenza, avranno inserito delle norme che tolgono le lungaggini inutili.
Niente di tutto questo: nelle riforme che si susseguono non si cambia di una virgola la procedura, quella c’è e quella vi tenete. Dovete solo fare più in fretta.
Sarebbe come dire: d’ora in poi l’autobus che fa la linea Sassari-Cagliari deve metterci due ore. Ma si obbietta: come fa a fare il tragitto più velocemente se l’autobus è vecchio, ci sono i limiti di velocità e la strada è piena di cantieri? Non importa: deve fare la strada in due ore. E se non ce la fa? Se non ce la fa l’autobus alla scadenza delle due ore si ferma e l’autista dice che la corsa finisce lì. I passeggeri scendono e si trovano più o meno fra Sardara e Sanluri; certo, potranno scegliere se visitare le terme o comprare il pane tipico, ma a Cagliari con quell’autobus non ci arriveranno più, fine della corsa. E se vorranno tutelare i propri diritti cercheranno altre strade, altre scorciatoie, anche non lecite. E l’autista? Sotto procedimento disciplinare.
Altro esempio: il primario del reparto infettivi ha l’obbligo di riuscire a curare un malato entro due mesi. Non ci riesce, perché i virus sono resistenti, perché il malato non reagisce, perché la ASL non ha i soldi per comprare l’ultimo farmaco sperimentato in America. Alla scadenza dei due mesi si chiude: gli infermieri scaraventano il malato fuori dal letto, lo piazzano su una barella e lo scaricano a casa, guarito o non guarito. Non è mica un problema dello Stato: i tempi sono stati rispettati. E il primario? Sotto procedimento disciplinare.
Ecco il processo breve, ma forse sarebbe il caso di chiamarlo processo yogurt, dopo un po’ scade e non si può andare avanti.
Eppure, quanto si potrebbe fare. Qualunque magistrato o avvocato saprebbe, con un mesetto di lavoro, dare dei suggerimenti concreti per accorciare della metà i tempi dei processi civili o penali.
Tutto ciò potrebbe avvenire senza nemmeno sfiorare i diritti di difesa: basterebbe mettere mano alle notifiche per velocizzare il tutto (e già così il famoso autobus si fermerebbe almeno alla periferia di Cagliari). Basterebbe poi depenalizzare qua e là, sfrondare di vari appesantimenti i nostri processi.
Per ultimo basterebbe investire nella giustizia, che non significa dare più soldi ai magistrati (figuriamoci, non tutti sanno che di recente hanno decurtato gli stipendi dei magistrati, unica categoria colpita) ma eliminare le montagne di carta che ogni processo produce e trasformarle in documenti digitali oppure assumere più personale amministrativo. Tutto più efficiente, tutto più veloce. E l’autobus arriverebbe sul lungomare di Cagliari ben prima delle due ore.
Ma a nessun magistrato o avvocato di buona volontà viene chiesto di dare una mano per trovare delle soluzioni: il processo rimane com’è e quindi sarà breve, rapido.
Per molti imputati sarà soprattutto indolore, come nella pubblicità della siringa che non fa male: già fatto? Sì, già fatto: l’imputato non ha sentito niente, solo un lieve bruciore. Potrà tornare a casa soddisfatto sapendo che, se per caso gli dovesse capitare di commettere qualche altro reato, molto probabilmente la situazione sarebbe la stessa: già fatto? E le strade sarebbero piene di ex imputati di vari reati, dalla violenza sessuale al furto con scasso, dalla corruzione alla bancarotta fraudolenta, che camminano contenti, con solo un lieve bruciore.
Gianni Caria
Magistrato

4 mag 2011

- Il principe azzurro -



Chi non ha sognato il principe azzurro??! Ognuna di noi nasce praticamente predestinata a trascorrere anni interi a sognare, cercare, e magari alla fine trovare questo fantomatico principe azzurro! 
In effetti, la maggior parte delle donne dedica gran parte della propria vita alla ricerca dell'amore sia nella coppia che da single, quindi sorge spontanea una domanda: ma quando si è single si è davvero single?
Cioè l'amore è il principale obbiettivo delle persone e su questo non c'è dubbio, ma perchè trovare la metà compatibile dev'essere così difficile?


Il mio periodo di libertà è cominciato con una ricerca; ero convinta di aver trovato la risposta a tutti i miei problemi manifestando la necessità di vivere un periodo di totale solitudine affettiva, invece mi ritrovo a costruire castelli su qualsiasi pseudorelazione mi si pari davanti, un classico esempio di ricerca del principe azzurro.
Ogni uomo che incontriamo viene immediatamente rivestito di questi panni cavallereschi di cui poi ovviamente valutiamo la compatibilità. Eppure, anche se difficile, la ricerca della persona giusta, del nostro contrappunto, del nostro pezzo mancante, è parte integrante del nostro essere ed è inevitabile.
Quindi mi sono chiesta, accertata l'essenzialità di questa ricerca, fin dove ci spingiamo per trovare la risposta? Qual è il nostro limite nel cercare l'amore?


Un giorno  una bambina di sei anni ha guardato mia sorella e le ha detto: " Come sei bella, ma perchè non sei sposata?" e lei sorridendo risponde: " Non lo so, forse perchè non ho mai trovato la persona giusta per me..".
La bambina allora solleva lo sguardo pensierosa e poi domanda nuovamente: "Ma l'hai cercata?" e mia sorella stupita afferma quasi automaticamente:" Bè sì, diciamo che ci ho provato", al che la piccola sconcertata le chiede :"Ma l'hai cercata in tutto il mondo?! Perchè se la vuoi trovare la devi cercare in tutto il mondo!".


IN TUTTO IL MONDO...saremmo davvero così coraggiose e pazienti da cercare il principe azzurro per tutto il mondo,oppure anche questa nostra naturale ricerca ha dei confini?
Teoricamente per amore non ci dovrebbero essere limiti, ma perchè allora oggi le persone si arrendono così facilmente?! Cercare il vero amore non è più una priorità?Oppure la gente ha smesso di crederci?
In effetti questo dovrebbe essere lo spirito giusto, essere disposti a cercarlo e a trovarlo ovunque si trovi senza limiti di tempo o spazio...ma come la mettiamo con i fallimenti?
Cioè ogni ricerca implica dei tentativi e ogni tentativo mal riuscito implica un fallimento...i fallimenti sentimentali in genere sono più che altro scoraggianti quindi l'unica soluzione sarebbe quella di riuscire a trarre da questi "errori" la forza per continuare la ricerca, ma a volte è più facile a dirsi che a farsi.


Anche io sono una sognatrice in cerca del vero amore, e come tale sono assolutamente determinata a trovarlo....ma perchè mi lascio scoraggiare tanto dalle sviste momentanee? Forse la risposta si ritrova nella tendenza a costruire sul nulla immagini che comprendano l'altra persona senza averla neanche concretamente conosciuta, per scoprire poi magari che i suoi obiettivi sono completamente diversi dai nostri, che le sue necessità non hanno niente a che vedere con le nostre, e migliaia di ulteriori differenze.
Quindi? All'inizio di una relazione bisogna sempre partire con i piedi di piombo perchè attenua la botta in previsione di un'eventuale scivolone?! Oppure è giusto entusiasmarsi e partire convinti nonostante non ci siano certezze? Bè in genere sono più propensa a sostenere la seconda alternativa...cerco sempre di non precludermi niente, di investire il 100%  in un rapporto per non avere poi rimpianti postumi; tuttavia spesso la delusione principale è rappresentata dal fatto che magari per l'ennesima volta la nostra ricerca deve proseguire, nonostante le speranze di aver trovato la soluzione, indipendentemente quindi dalla persona in questione.

C'è una sola certezza in tutto ciò: per trovare il vero amore bisogna crederci.
Il principe azzurro esiste, ed è vero, per trovarlo bisogna essere disposti a cercarlo in tutto il mondo!
(Giulia)

3 mag 2011

- Interrail #16 -


Capitolo Sedicesimo: 
Plaza de Castilla




[Ascolto consigliato: Bastards on Parade – Dropkick Murphys]

“Però poi al ritorno ci andiamo al Bernabeu, vero?” disse Mike uscendo dalla metro.

“Plaza de Castilla non è sicuramente tra le principali attrattive turistiche della città. Mi spiego meglio: se fosse nella mia città sarebbe sicuramente uno dei poli artistici e più rinomati luoghi di ritrovo, ma in una città come Madrid non si merita neanche di essere menzionata sulla guida. Va bene. Non è neanche una delle peggiori. E' molto grossa. Ci fanno capolinea un sacco di autobus. Ci sono questi due edifici strani situati uno di fronte all’altro e pendenti uno verso l’altro. C’è una fontana con dietro una colonna classica o qualcosa del genere. C’è il Mc Donalds. Il punto è che noi ci abbiamo sprecato un sacco di foto, facendo la figura dei giapponesi, con i passanti che magari  pensavano “Ma che cosa c’è da fotografare qua? Che vadano nel centro città a Puerta del Sol o alla zona dei parchi questi ragazzi, hanno proprio sbagliato zona per fare i turisti! Questa è una piazza come tante…”. Eppure quei due edifici ci hanno intrigato. Personalmente mi facevano tornare alla mente una foto scattata cinque anni prima, durante il viaggio dopo l’esame di terza media con la mia famiglia negli Stati Uniti. Una foto scattata nell'agosto 2000 a New York che mi torna spesso in mente. Una foto scattata dal basso verso l’alto a una delle due Torri Gemelle. Allora era un bel gioco di prospettiva fatto da un pivello con la mano tremolante perché non sapeva usare una macchina fotografica. Ora per me è la testimonianza che io sono stato sulle Torri, ma soprattutto mi fa pensare che a 14 anni ero talmente ingenuo da non poter neanche lontanamente immaginare una catastrofe del genere. Un turista non si guarda attorno e non si chiede perché, ma guarda il mondo da dietro l’obiettivo e scatta fotografie. Ora ho vent’anni sono ancora un ingenuo, sono ancora un fotografo pivello e continuo a fare il turista. L’unica differenza è che adesso a volte mi chiedo perché e interpreto le cose a modo mio, non nel modo giusto, ma nel mio modo.”

Questo scrivevo il 26 Maggio 2006, a quasi un anno di distanza dal viaggio. Sono le classiche frasi fatte di chi si crede grande, ma dice il contrario. Di chi si crede un pensatore. Di un filosofo mancato. Avevo vent'anni. Ora ne ho venticinque, sono stato a Madrid altre 3 volte, ho vissuto 5 mesi in Spagna, ho vissuto 10 mesi con un madrileno della zona di Plaza de Castilla. Sono sicuramente meno ingenuo di allora. E sicuramente mi sento meno grande. E meno filosofo. La maturità arriva quando smetti di sentirti “più grande di prima”, perchè ormai lo sei. Ora lavoro. E non sono ancora grande abbastanza. Solo alla fine della tua carriera universitaria ti puoi rendere conto di essere tutt'altro che arrivato e di avere ancora tutto da imparare. Ho visitato 15 paesi in 2 continenti diversi. Per essere considerato un vero backpacker me ne mancano ancora 10 e 3 continenti.

Chiedo ufficialmente scusa a tutti coloro che sostengono che Plaza de Castilla a Madrid sia una delle più fascinose e turisticamente valide piazze della Spagna. Con il senno di poi, lo penso anch'io.