3 ott 2010

- Colui che più ci manca -



Una sensazione di mancanza impregna questa dolce presenza – nastri che con purezza scivolano verso un pavimento cosparso da fazzoletti sgualciti scolpiti nella cera, come abbandonati da qualcuno affetto da un inconsolabile pianto. Nikki Luna pone l’attenzione su ciò che dà una consistenza al senso di assenza: il desiderio. Colui che più ci manca, tragicamente, è la persona che amiamo.

Nel glossario d'amore steso da Roland Barthes e intitolato “The Lover's Discourse: A Fragment” l'assenza è così definita: "Ogni episodio di un linguaggio che mette in scena l'assenza della persona amata, indipendentemente dalla causa e la sua durata, e che tende a trasformare questa assenza in un calvario di abbandono." Egli definisce categoricamente assenza come un discorso portato avanti dalla donna sedentaria. Mentre l'uomo caccia, la donna aspetta.

Tale assenza identificata nell’angoscia della donna abbandonata è ciò che Luna esplora con delicatezza. L’artista appende nastri su cui è stampata la frase "Gaano Ikaw ko kamahal" (quanto ti amo) presa in prestito dal testo di una canzone d'amore popolare filippina. Una canzone d'amore scritta dalla nonna di Luna per il marito che l'ha abbandonata nei loro anni del tramonto. E per il quale questa donna piange. I tessuti trasparenti, sparsi in maniera casuale, evocano nastri di cassette, rinforzando concettualmente la ripetizione visiva. Una canzone silenziosa e malinconica si ripete ancora e ancora, avvolgendo l'intera stanza con un peso indescrivibile.

La tragedia non è l'assenza fisica della persona amata. E’ l'inarrestabile presenza dentro di lei. La strofa "quanto ti amo" è un paradosso che descrive l’impossibilità di dare un peso e un valore a certe sensazioni. Abbandonata, lei sembra amare più di quanto sia a sua volta amata. Ma, come Luna ha visto, ogni caduta é una storia a sé, una storia non definibile in bianco e nero.

L'artista manifesta un frammento di questa ragione d'essere attraverso le sculture di tessuto, alcune delle quali sono lasciate bianche, mentre altre sono imbevute in vernice d'oro. Vi è dolore e vi è oro, come vi è la purezza di un affetto segnato dalle cicatrici di desideri mondani. La delicatezza generale dello spazio creato nasconde un’inesorabile devastazione. Andando ben oltre i luoghi comuni, Luna decostruisce simultaneamente i concetti di amore, donna e famiglia attraverso la rappresentazione minuziosa di una donna, incarnata da un parente estraniato, in quanto essere egoista ma al tempo stesso amorevole: altruista, ma alla fine, non amato.

Questa donna non è lo stereotipo della madre adorata né della moglie mansueta. Né corrisponde all’emblema del potere femminile. La precarietà della sua devozione l’ha condannata al suo isolamento. Come reazione la donna guarda indietro agli oggetti materiali, poiché unici elementi possedibili con pienezza; e ai suoi ricordi, come se in essi ritrovasse un amore corrisposto.

Tracciando i meandri intricati delle emozioni di questa donna, Luna ha sviluppato questo prezioso modello di ripetizione. Non diversamente dalla massima del Grande Gatsby per cui “barche che avanzano contro corrente, rimandano incessantemente al passato". Non diversamente dall’uomo eternamente infelice di Kundera, per il quale "la felicità è il desiderio di ripetizione." La ripetizione è inerzia, e l'inerzia è dolore. Parafrasando Nietzsche, "solo ciò che non cessa di ferire rimane nella memoria."

Luna esalta e al tempo stesso castiga questa donna che soffre. Di qui il materiale e le sfumature blu delle guarnizioni, che evocano l'immagine di vene pulsanti di desiderio e malcontento. L’artista mette a nudo queste vene come viste attraverso un polso luminoso. E lo fa mostrandoci esattamente dove la vita pulsa, si contorce, prospera.

(traduzione da Adjani Arumpac)
(G. de Risi)

Thomas newman - american beauty - american beauty by Topacio Bleu

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