1° luglio
[…] Ora niente mi dà tanta noia come quando gli uomini si tormentano fra loro, specie poi quando sono giovani nel fiore della vita, che dovrebbero essere apertissimi a tutte le gioie, e invece si sciupano quei brevi giorni per sciocchezze e poi troppo tardi s’avvedono dell’irreparabile sperpero.
Questo pensiero mi rodeva, e quando poi tornammo verso sera al presbiterio e seduti a una tavola cenavamo con pane e latte e il discorso volse al tema della felicità e del dolore nel mondo, io non potei fare a meno di afferrare quel filo e di esprimermi molto energicamente contro il malumore.
“Noi uomini ci lamentiamo spesso” così cominciai “che le giornate buone siano poche e le cattive tante; ma in generale io credo che abbiamo torto. Se avessimo un cuore aperto e disposto a godere il bene che Dio per ogni giornata ci dà, allora avremmo anche forza abbastanza per sopportare il male quando viene.”
“Ma i nostri sentimenti” osservò la moglie del pastore “non sono sempre il poter nostro. Tanto dipende dal corpo! Se uno non sta bene in salute, non c’è nulla che gli garbi.”
Io questo gliel’ammisi.
“Allora” proseguii “vogliamo considerare il cattivo umore come una malattia, e cercare se c’è un rimedio?”
“Questo mi piace” disse Carlotta “Io almeno credo che molto dipenda da noi. Lo so per prova. Se c’è qualche cosa che m’infastidisce e minaccia di dami cruccio m’alzo alla lesta e mi metto a camminare su e già pel giardino canticchiando un paio di contraddanze, ed è bell’e finita.”
“E’ proprio quello che volevo dir io” soggiunsi “Avviene del cattivo umore esattamente come della pigrizia; perché in fin dei conti il cattivo umore si riduce a una specie di pigrizia. La nostra natura vi è molto incline, eppure, se abbiamo una volta la forza di farci un cuor risoluto, il lavoro viene di lena, e nell’attività troviamo un vero godimento.”
[…] “Si predica contro tanti vizi” gli dissi “Ma non ho mai sentito che dal pulpito si muova guerra al cattivo umore.”
[...] “Lei ha detto che il cattivo umore è un vizio. Mi pare esagerato.”
“Niente affatto” risposi “se quello che nuoce a noi stessi e al prossimo merita il nome di vizio. Non è già abbastanza che ci manchi il potere di renderci a vicenda felici? e dobbiamo per giunta rubarci l’uno all’altro quel tanto di piacere che ogni cuore qualche volta può procurare a se stesso? Lei mi nomini uno che sia dic cattivo umore e in pari tempo sia tanto bravo da dissimularlo, da tenersi per sé la tetraggine senza sciupare tutt’intorno la gioia degli altri. O forse in fin dei conti il malumore non è altro che un’intima insoddisfazione della nostra propria infelicità, un malcontento di noi stessi, il quale è poi sempre collegato a un sentimento d’invidia, e questo alla sua volta è aizzato da una sciocca vanità? Vediamo persone felici che non debbono a noi la loro felicità; e questo è intollerabile.”
(Goethe)
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