La riforma epocale è finalmente arrivata, fra squilli di tromba, caute aperture e manifestazioni di indignazione. Verrà profondamente modificata la Costituzione e, si dice, finalmente avremo una giustizia che funziona. Si dice anche, lo dice il nostro premier, che con questa riforma i Pubblici Ministeri busseranno alla porta del Giudice con il cappello in mano.
Chi non è un tecnico del diritto si chiede come finora avvenivano gli incontri istituzionali fra P.M. e Giudice (che faceva il P.M.? Entrava senza bussare? Si stravaccava sulla poltrona mettendo i piedi sul tavolo? Raccontava al Giudice barzellette sconce?). Chi invece di mestiere interpreta le leggi e cerca di coglierne le conseguenze ha il compito di leggere la proposta con attenzione e senza pregiudizi.
Attualmente tutta la magistratura (giudici e pubblici ministeri) costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Non c’è separazione delle due carriere, ma divieti di passaggio da una funzione all’altra nell’ambito dello stesso distretto di Corte d’Appello.
Con la riforma le due carriere saranno separate. Due concorsi, due CSM. Se ci si fermasse a questo punto, se ne potrebbe discutere: la separazione (che non condivido) porta vantaggi e svantaggi, ma siamo ancora in un ambito accettabile.
Ma con la riforma non tutta la magistratura, ma solo i giudici “costituiscono un ordine autonomo e indipendente da ogni potere e sono soggetti soltanto alla legge”. Per il nuovo art. 104 Cost. invece “l’ufficio del pubblico ministero è organizzato secondo le norme dell’ordinamento giudiziario che ne assicurano l’autonomia e l’indipendenza”.
Ecco la differenza: i pubblici ministeri non saranno come ora “soggetti soltanto alla legge” ma sarà il Parlamento che con legge ordinaria riempirà di contenuto quel residuato di autonomia e
indipendenza che rimane loro. Ergo, i pubblici ministeri saranno soggetti sia alla legge che ad altro.
Altra modifica: ora “il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”, cioè di procedere per ogni reato senza distinzione. Con la riforma, l’obbligo si eserciterà “secondo i criteri stabiliti dalla legge”.
Che accadrà? Il Parlamento potrà approvare norme che costringeranno il P.M. a procedere solo per alcuni reati e non per altri (immaginiamo, naturalmente per pura ipotesi, una maggioranza con un orientamento vagamente xenofobo che impone di occuparsi solo di reati commessi da stranieri) oppure che lo obbligheranno a informare il Ministro di ogni iniziativa penale presa. Il Ministro potrà interloquire sulle indagini, dire al P.M. di lasciare perdere un’inchiesta e di occuparsi di altro o contestargli che fare una certa indagine costa troppo.
Pensate a un Ministro che sa che un’indagine tocca un suo collega di partito: la farà continuare,
dicendo bravo al P.M., o gli dirà che non è il caso?
Ecco allora il P.M., solo nella sua stanza e seppellito, come sempre, da fascicoli, che sente bussare alla porta: è un imprenditore che viene a denunciare che un pubblico amministratore pretende una tangente. Ora non gli si dice nulla: lui sa che indagheremo, senza guardare in faccia a nessuno. In futuro gli diremo “forse”, forse potrà avere giustizia: se il Parlamento quell’anno ha messo il reato di concussione fra le priorità, se il Ministro non pretenderà di essere informato, vanificando indagini a sorpresa, se non verranno inserite norme in base alle quali la Polizia Giudiziaria potrà infischiarsene delle direttive di indagine del P.M..
Diremo “forse” alle vittime di concussione, di usura, di violenza di ogni tipo, di disastri ambientali.
Lo diremo soprattutto alle vittime deboli, che non hanno i mezzi per muovere l’opinione pubblica o per attivare qualche lobby parlamentare. Ci vergogneremo di non assicurare giustizia, e allora ci verrà un pensiero: “forse” chiedendo al Procuratore della Repubblica di telefonare al Procuratore Generale della Corte d’Appello perché telefoni al Procuratore Generale della Cassazione perché telefoni al Sottosegretario perché lo chieda al Ministro, “forse” potremo eccezionalmente fare un’indagine che non rientra fra le priorità.
Ecco. Ecco il P.M. con il cappello in mano. Ma non per andare dal Giudice, ma per chiedere ad altri poteri se per caso, solo per questa volta, se non disturbo, si possa fare un’eccezione e procedere con determinazione perché c’è una persona che vuole giustizia.
E allora mi chiedo se davvero si può volere un P.M. così. Anche ora il P.M. si toglie idealmente il cappello, si scopre la testa, non per chiedere ma per rispetto: lo fa di fronte alla Legge, di fronte alla Costituzione, di fronte a ogni cittadino (comunitario o extracomunitario) che ha davanti. E come ogni cittadino che si rispetti, lo fa davanti ai simboli dello Stato Italiano.
(Gianni Caria, Magistrato)
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