ho letto stamani il suo intervento su La Stampa sulla Scuola di Barbiana [una lettera in cui la prof.ssa xxx sosteneva che la scuola italiana attuale era il frutto di idee errate che avevano trovato il loro "manifesto" nella Lettera ad una professoressa di don Milani]. Se condivido con Lei la sofferenza per le condizioni in cui versa la scuola italiana oggi, mi permetto anche di dissentire rispetto alle considerazioni che Lei svolge in proposito.
Insegno da più di trent’anni filosofia e storia in un liceo: ho frequentato il liceo classico (maturità 1968, ultima maturità “gentiliana”: tema d’italiano, versione dal latino, versione in latino, versione dal greco, orale in due turni con tutte le materie, “riferimenti” dei due anni precedenti, 10 (dieci!) canti di Dante a memoria, 60 versi d’Omero in greco e la quarta egloga di Virgilio in latino a memoria, per fissare il ritmo della metrica classica, e potrei continuare…).
Ebbene in quel liceo una mattina il professore di latino e greco, un prete, don Luciano Garrone (ah, questi preti sovversivi!), ci parlò della Lettera ad una professoressa, uscita da poco. Andai a leggerla. Vi trovai una straordinaria passione civile, un amore grande per i più deboli (Lei vi ha visto solo “odio di classe”), una volontà ferrea di fornire loro gli strumenti del loro riscatto sociale e culturale, una severità e un rigore motivati dagli obiettivi alti che ci si poneva. Certo non si leggeva Foscolo o Monti (non era un liceo, quello), ma si leggeva il Vangelo e l’Apologia di Socrate, la Costituzione e il giornale, si scriveva tanto, a tutto il mondo, ci si aiutava reciprocamente: tutti avevano da imparare qualcosa, tutti avevano qualcosa da insegnare. Soprattutto ci si allenava a pensare criticamente.
Insegno da più di trent’anni filosofia e storia in un liceo: ho frequentato il liceo classico (maturità 1968, ultima maturità “gentiliana”: tema d’italiano, versione dal latino, versione in latino, versione dal greco, orale in due turni con tutte le materie, “riferimenti” dei due anni precedenti, 10 (dieci!) canti di Dante a memoria, 60 versi d’Omero in greco e la quarta egloga di Virgilio in latino a memoria, per fissare il ritmo della metrica classica, e potrei continuare…).
Ebbene in quel liceo una mattina il professore di latino e greco, un prete, don Luciano Garrone (ah, questi preti sovversivi!), ci parlò della Lettera ad una professoressa, uscita da poco. Andai a leggerla. Vi trovai una straordinaria passione civile, un amore grande per i più deboli (Lei vi ha visto solo “odio di classe”), una volontà ferrea di fornire loro gli strumenti del loro riscatto sociale e culturale, una severità e un rigore motivati dagli obiettivi alti che ci si poneva. Certo non si leggeva Foscolo o Monti (non era un liceo, quello), ma si leggeva il Vangelo e l’Apologia di Socrate, la Costituzione e il giornale, si scriveva tanto, a tutto il mondo, ci si aiutava reciprocamente: tutti avevano da imparare qualcosa, tutti avevano qualcosa da insegnare. Soprattutto ci si allenava a pensare criticamente.
Penso che la mia scelta professionale sia stata significativamente influenzata da quella lettura.
Sarebbe questa la scuola che abbiamo ora in Italia?
Nel mio liceo si continua a leggere Dante (su un’antologia!), si continua ad insegnare il latino, ma gli allievi stentano a tradurre una semplice frasetta in cui capita che si imbattano, io leggo Platone, Aristotele, Cartesio, Kant, Hegel, ma dopo poche settimane non ricordano più nulla.
La colpa è della mancata selezione ferrea, della scomparsa delle bocciature?
E tutto questo sarebbe il frutto dell’applicazione su scala generale dei principi di Barbiana?
Quanto all’analisi della Costituzione, dei principi fondanti il nostro vivere civile, dei con tributi di pensiero e delle complesse vicende storiche che la innervano, non penso che sottragga, purtroppo, molto tempo allo svolgimento dei tradizionali programmi.
Modelli culturali opposti a quelli che la scuola dovrebbe trasmettere che si impongono con prepotenza attraverso i media e i comportamenti pubblici, uno scontro politico dove non c’è traccia di confronto razionale e di ascolto e rispetto reciproco, stanchezza diffusa e scarsa motivazione in un numero elevato di docenti, una burocratizzazione dell’attività scolastica, tempi, contenuti e attività sottoposti spesso ad una programmazione astratta: tutto ciò (e altro ancora!) non avrà inciso sulle condizioni attuali della scuola?
E siamo poi così sicuri che un certo “classicismo” della nostra scuola e della cultura italiana non abbia anche inciso profondamente nella generale svalutazione della formazione tecnica e professionale, considerata ancora oggi una scuola di serie b persino dai partiti di sinistra, per cui si è riversata sui licei una popolazione scolastica interessata alla “promozione sociale” che tale curriculum offriva, privando gli istituti tecnici e professionali di ottime intelligenze pratico-operative, che potevano arrivare a risultati culturali e formativi non dissimili da quelli raggiunti dai loro coetanei liceali attraverso altri percorsi che dovevano avere un degno riconoscimento sociale e culturale?
Un giorno, nelle campagne attorno a San Gimignano, mi imbattei in un giovane muratore che, mentre rimuovevav con mazza e scalpello l’intonaco dal muro di un casale in ristrutturazione, ascoltava le Suitres inglesi di Bach, “nell’interpretazione di Glenn Gould”, puntualizzò, tutto fiero: Pensai che per la sua formazione estetica vivere in un ambiente di così rara bellezza era stato più determinante di tante lezioni di storia dell’arte. Insegno in una città dove è stato un grande umanista ingegnere che non aveva fatto studi classici (Adriano Olivetti) a portare una autentica cultura industriale e a coniugare ambiente, lavoro e bellezza.
E infine, non posso rimuovere del tutto un cattivo pensiero, che la situazione in cui versa la scuola italiana sia stata voluta da quelle classi sociali che temevano che la scuola diventasse un potente fattore di rinnovamento sociale, che avrebbe consentito ad ogni cambio generazionale un rinnovamento profondo delle classi dirigenti. Non è detto che gli intelligenti nascano sempre tra le medesime classi sociali: “Dio non fa questo scherzo ai poveri”, scriveva don Milani.
Cordialmente.
kriticadellaragione.blogspot.com
(Emilio Giachino - Prof. di storia e filosofia)
Credo che il cambiamento nell'approccio allo studio sia dovuto,oltre all'effetto "68",semplicemente al cambiamento nell'accezione di tempo libero.
RispondiEliminaTecnologie,sport,nuove forme di comunicazione etc hanno fatto si che le ore da dedicare allo s...tudio si riducessero.
Mia nonna o studiava o leggeva o andava a farsi un passeggiata,ora..........
Il discorso della scuola che regredisce causa "paura di rinnovamento" non lo condivido..
negli stati uniti i programmi di un high school sono tutt'altro che impegnativi, eppure non mi sembra un paese poco incline al rinnovamento..