20 mag 2011

- H2O, le implicazioni -


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     Riprendiamo da dove ci siamo lasciati ieri:
     
      - Se vince il si, nessuno impedirà ad un AATO di organizzare una gara per l’affidamento del servizio idrico e che a vincerla sia un privato o a una società mista.  
·          -  Se vince il no, nessuno impedirà ad una società a capitale pubblico di partecipare alla gara e di vincerla se lo merita.  

La legge attuale infatti vuole solamente favorire una maggior partecipazione di soggetti con vocazione industriale, nel tentativo di portare a termine il cammino verso una maggior industrializzazione del servizio idrico iniziata nel 1994 con la Legge Galli. Da notare che il Decreto Ronchi presenta le stesse caratteristiche di un ddl proposto dal Ministro Lanzillotta nel 2006 sotto il governo di Prodi e sostenuto da gran parte del centro-sinistra (motivo per cui oggi Bersani o chi per lui del PD non può presentarsi in tv per dire alcunché); ma soprattutto la questione è questa: tale decreto ha una portata che è stata esagerata all’infinito da una propaganda, portata avanti soprattutto dalla sinistra più radicale, che almeno per una volta è stata più efficace di quella di destra.
ATTENZIONE: se, come si sente dire, alla porta ci fossero le grandi multi-nazionali e i privati pronti ad “assetarci”, essi dalla porta ci sarebbero già entrati da tempo: ad oggi ci sono già tutte le condizioni affinchè i privati e le multi-nazionali conquistino il mercato dei servizi idrici italiani. Peccato però che su 114 affidamenti, solo 5 siano in mano privata e la maggior parte delle gare vadano deserte per mancanza di contendenti. Come mai? Ciò avviene poichè l’acqua è un business che non rende, perchè i rischi in capo ai soggetti privati sono troppo elevati, perché lo stato delle nostre infrastrutture è penoso e nessuno si vuole imbarcare in operazioni titaniche di investimento che porterebbero all’aumento delle bollette e alla sollevazione popolare. E non sarà certo il misero Decreto Ronchi a consegnare l’acqua nelle mani loro.
Ma ad una cosa dobbiamo rassegnarci: una certa partecipazione dei privati c’era, c’è e ci sarà. Sia a causa di competenze tecnico-manageriali in mano alle società, sia per ragioni economico-finanziarie. Questo perché lo stato delle infrastrutture è pauroso, la rete perde in media circa il 40% dell’acqua che viene immessa e l’importo degli investimenti stimato per i prossimi 30 anni è di 65 miliardi di euro (dati Co.N.Vi.Ri e Anea-Utilitatis). E chi paga? Risposta: noi. Ah già perché mi son dimenticato di dirvi: qua si parla di privatizzazione dell’acqua, che l’acqua è un diritto ed è un bene pubblico etc. ed è tutto vero. Ma l’acqua come bene comune ce la beviamo in montagna alla fonte, mentre per farla arrivare al rubinetto di casa servono tubature, depuratori e poi impianti di smaltimento e fognatura. E bisogna mantenerli. E chi deve sborsare i soldi?Risposta: noi!
“Noooo!!” mi direte, “io non voglio che le bollette aumentino!” e bla bla bla”. Bene, chi paga allora? Perchè il punto fondamentale è proprio qui, non siamo disposti a sborsare una lira nè ad assumerci il dovere (si, si parla anche di dovere e non solo di diritto) di contribuire affinchè venga assicurato per il futuro un servizio idrico di qualità a chi verrà dopo di noi. O vogliamo continuare a pretendere un servizio di qualità gratis e a trovarci con dei buchi così nei tubi nei prossimi anni?
Troppo spesso il pubblico rinuncia a compiere gli investimenti necessari per ragioni di consenso elettorale e troppo spesso il privato fa il furbetto pensando al suo tornaconto. Ma troppo spesso noi non siamo pronti a far fronte ad un aumento delle tariffe, che pur in Italia sono tra le basse in Europa, e siamo pronti a gettar la croce a chi si impegna a investire e a dover inevitabilmente accrescere le tariffe.

In definitiva il decreto Ronchi non tocca le criticità salienti del nostro sistema e non imporrà alcun cambiamento significativo. Ma i promotori del referendum, contestando la consegna al mercato dei servizi idrici, dovrebbero spiegare qual è l’alternativa che si propone: si vuole tornare ad una gestione pubblica locale? Con quali fondi e quali competenze? Non si tratta più di tirare fuori l’acqua dal pozzo e di portarla dentro casa in un secchio come una volta.
Oppure si vuole statalizzare il tutto, come ormai solo Chavez nel mondo fa?E comunque di nuovo: con quali soldi con il nostro bel debito pubblico?
Tutti gli esperti del settore (Massarutto, Drusiani, Boitani, Scarpa) propongono che a fianco di una maggior industrializzazione del settore, attraverso un più esteso ricorso al mercato, si affianchi un forte ruolo di controllo e regolazione da parte delle autorità pubbliche ovvero: la creazione di un’autorità di regolazione indipendente che controlli che ad un aumento tariffario corrisponda un aumento della qualità del servizio, il miglioramento del sistema tariffario affinchè sia più efficiente, equo ed incentivante alla riduzione degli sprechi, così come schemi di allocazione dei rischi che incentivino le società di capitali ad intervenire nel settore e a metterci i soldi. Chissà perché però, la politica non prende in considerazione tali questioni che da anni sono sul tavolo e preferisce concentrarsi sulla forma della gestione più che sugli interventi di sostanza.

Io andrò a votare, convinto che comunque si debba, ma dico: attenzione a non farci imbambolare dalla campagna elettorale che ha ingigantito la portata di questo referendum, il quale vuole abrogare una legge che dice molto poco e vuole abrogarne un’altra con conseguenze che sarebbero nefaste per il settore.
Io voterò scheda bianca.
(Pietro)

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