7 nov 2010

- Reparto Numero 6 -


 [...]
- Il freddo, come ogni altra sensazione dolorosa, si può non avvertire. Marco Aurelio diceva: "Il dolore non è che una viva rappresentazione del dolore: compi uno sforzo di volontà, in modo da mutare questa rappresentazione, rimuovila da te, cessa di lamentarti, e il dolore svanirà". E' una cosa giustissima. Il sapiente, o più semplicemente l'uomo pensante, che penetra a fondo nelle cose, si distingue appunto per il fatto che disprezza la sofferenza: egli è sempre contento, e di nulla stupisce.

- Allora io sarei un idiota, dato che soffro, sono scontento e rimango stupito delle bassezze umane.

- Voi sbagliate, a fare così. Se vi sollevaste più spesso alla meditazione, comprendereste allora quanto siano trascurabili tutte quelle esteriorità che vi mettono in tanta agitazione. L'essenziale è di tendere alla comprensione della vita: raggiunta questa, si ottiene il vero bene.

- Comprensione della vita... - aggrottò il viso Ivan Dmitric. - Esteriorità, interiorità... Scusatemi, son cose che non intendo. Io so soltanto, - esclamò, alzandosi e fissando irosamente il dottore - so soltanto che Dio mi ha creato di sangue caldo e di nervi, già! E poi, un tessuto organico, se è vitale, deve reagire a tutte le irritazioni.

- E io reagisco! Al dolore rispondo con le grida e con le lacrime, alle bassezze con lo sdegno, alle turpitudini con la nausea. A parer mio, appunto in questo consiste la vita. Quanto più in basso sta un organismo, tanto meno è sensibile, e tanto più debole è la risposta che dà agli stimoli esterni: e quanto più sta in alto, tanto più è ricettivo, e con tanta più energia reagisce alla realtà. Come ignorare cose simili? Siete un dottore, e non sapete certe piccolezze! Per poter disprezzare il dolore, essere sempre contenti e non meravigliarsi di nulla, bisogna ridursi, ecco, in quello stato lì - e Ivan Dmitric indicò il massiccio, obeso contadino. - Oppure indurirsi talmente alle sofferenze, da perdere ogni sensibilità per esse; cioè, in altre parole, cessare di vivere. Voi mi scuserete, giacché io non sono né un sapiente né un filosofo, - soggiunse Ivan Dmitric irritato - e si tratta di cose di cui non m'intendo affatto. Non sono in grado di ragionarne.

- Al contrario, ne ragionate benissimo.

- Gli stoici, che voi andate parodiando, sono stati uomini superiori, ma sono passati ormai duemila anni da quando la loro dottrina si è cristallizzata, e da allora non ha avanzato d'un filo, né avanzerà mai, per il fatto che non è pratica, non è vitale. Essa ha avuto seguito soltanto presso una minoranza, intenta a passar la vita nello studio e nella degustazione delle più varie dottrine: ma la maggioranza non l'ha compresa. Una dottrina, la quale predica l'indifferenza alla ricchezza e agli agi della vita, il dispregio delle sofferenze e della morte, riesce assolutamente incomprensibile all'enorme maggioranza degli uomini, giacché quest'ultimi non hanno mai conosciuto, nella vita, né ricchezza né agi; e d'altro canto, disprezzar le sofferenze, equivarrebbe per essi a disprezzar la vita stessa, giacché tutta l'esistenza umana consiste in sensazioni di fame, di freddo, di offesa, di privazione, e di amletico terrore davanti alla morte. A queste sensazioni si riduce per intero la vita:

è lecito sentirne la gravità, prenderla in odio, ma non già disprezzarla. E perciò, lo ripeto, la dottrina degli stoici non potrà mai avere avvenire, mentre dal principio dei tempi a tutt'oggi progrediscono, come vedete, la lotta, la suscettibilità al dolore, la capacità di rispondere alle irritazioni esterne...

[...]

Ivan Dmitric rise e si sedette.

- Ammettiamo pure che la tranquillità e la contentezza dell'uomo siano non già al di fuori di lui, ma in lui stesso - riprese. - Ammettiamo che sia indispensabile disprezzare le sofferenze e non meravigliarsi di nulla. Ma voi, personalmente, che fondamento avete per predicare così? Siete un sapiente, voi? Siete un filosofo?

- No, io non sono un filosofo, ma si tratta d'un insegnamento che chiunque può sostenere, giacché soddisfa la ragione.

- No, io voglio sapere per quale motivo, nelle faccende della comprensione, del disprezzo delle sofferenze, eccetera eccetera, voi vi ritenete un competente. Perché avete forse sofferto qualche volta?

Avete un concetto, voi, di ciò che sia soffrire? Permettete: quando eravate piccolo, vi battevano?

- No, i miei genitori avevano un'avversione per le punizioni corporali.

- E invece mio padre mi ha battuto crudelmente. Era, mio padre, uno di quegli aspri impiegati emorroidari, con un lungo naso e il collo giallo. Ma parliamo piuttosto di voi. In tutta la vostra vita, nessuno vi ha mai sfiorato con un dito, nessuno vi ha mai spaventato, mai bastonato: e di salute ne avete quanto un bue. Vi siete fatto grande sotto l'ala del babbo, avete compiuto gli studi a sue spese, e poi tutt'a un tratto avete agguantato una bella sinecura. Sono più di vent'anni che vivete gratis in un appartamento ben riscaldato, ben illuminato, con tanto di servitù, godendo per giunta del diritto di lavorare come e quanto vi piace, o magari di non far nulla. Voi, di natura vostra, siete un uomo infingardo, flaccido, e quindi avete fatto di tutto per sistemare la vostra vita in modo che nessuno vi infastidisse o vi costringesse a spostarvi di pezzo. Il da fare lo avete scaricato sull'assistente e sull'altro canagliume, mentre voi ve ne siete stato al calduccio, in santa pace, raggranellando quattrini, leggiucchiando libretti, godendovela a speculare su ogni sorta di elevate fandonie, nonché - qui Ivan Dmitric diede un'occhiata al naso rosso del dottore - a scolare bicchierini. A farla breve, voi la vita non l'avete vista, non la conoscete a fondo, e con la realtà delle cose non avete che una conoscenza teorica. E quanto al vostro disprezzo delle sofferenze e al vostro non stupirsi di nulla, hanno un movente semplicissimo: la vanità delle vanità, l'esteriorità e l'interiorità, il disprezzo della vita, delle sofferenze e della morte, la comprensione, il bene verace, costituiscono, tutti insieme, una filosofia che pare fatta su misura per il poltrone russo. Voi vedete, per esempio, un contadino che picchia la moglie. A che scopo intromettersi? Lascia che la picchi, già tutt'e due moriranno lo stesso prima o poi; e per giunta, chi picchia, offende con le sue percosse non già colui che picchia, ma se stesso. Abusar di liquori è stupido e sconveniente, ma se berrai, morirai, e se non berrai, morirai ugualmente. Viene a cercarti una popolana, le dolgono i denti... Ebbene? Il dolore non è che una rappresentazione del dolore, e poi, senza malattie non si campa a questo mondo, e tutti finiremo col morire: si tolga dunque d'innanzi questa popolana, e non m'impedisca di speculare e di succhiare acquavite. Un giovane chiede consiglio, cosa fare, come vivere; prima di dargli una risposta, un altro ci penserebbe ben bene; qui invece la risposta è già pronta: tendi alla comprensione, ovvero sia al bene verace. Ma che cos'è, questo fantastico BENE VERACE? La risposta qui manca, beninteso! Noi altri siamo tenuti qua in gabbia, ci fanno imputridire, ci torturano, ma anche queste sono cose eccellenti e razionalmente giustificabili, con ciò sia cosa che tra questa corsia e un tiepido, accogliente scrittoio, non c'è alcuna differenza. Oh la comoda filosofia: da fare, non c'è nulla, la coscienza è netta, e hai la sensazione di essere un sapiente... Ah no, illustre signore: non è filosofia questa, non è meditazione, né larghezza di vedute; bensì è pigrizia, è fachirismo, è sonnolenta ebetaggine... Sì! - tornò a incollerirsi Ivan Dmitric. - Le sofferenze, voi le disprezzate, ma fate che vi si schiacci un dito nella porta, e vedrete se non vi metterete a urlare a squarciagola!

- Chissà, potrebbe anche darsi che non urlerei - esclamò Andrej Efimyc sorridendo con dolcezza.

- Sì sì, altrocché! E se poi vi stecchisse una paralisi, oppure, supponiamo, un imbecille o un impudente qualunque, approfittando della sua posizione e del suo grado, vi oltraggiasse pubblicamente, e voi sapeste come nessuno lo punirebbe di questo, eh, allora sì che comprendereste cosa vuol dire rimandare gli altri alla comprensione e al bene verace!

(da Reparto N°6 - A. Cechov




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